venerdì 3 Ottobre 2025

La nuova manovra economica del governo prevede investimenti solo per le armi

Nel corso del Consiglio dei ministri di giovedì 2 ottobre il governo ha approvato il Documento programmatico di finanza pubblica (DPFP), che sostituisce la Nadef e traccia le linee guida della prossima legge di bilancio 2026. Il quadro che emerge è incentrato su una rigida disciplina dei conti pubblici, con un rapporto deficit/PIL fissato al 3% (ad aprile veniva stimato al 3,3%) per il 2025 e una crescita economica rivista al ribasso (0,5% per l’anno in corso, 0,7% per il 2026). Il testo ufficiale del comunicato del Cdm n. 143 menziona esplicitamente che il governo intende destinare all’aumento delle spese per la difesa uno 0,15% del PIL nel 2026, 0,3% nel 2027 e 0,5% nel 2028, purché l’Italia riesca a uscire dalla procedura per disavanzo eccessivo imposta dall’Unione europea. Da queste cifre deriva la previsione di circa 12 miliardi di euro in più per le spese militari nel triennio 2026-28, qualora il quadro macroeconomico lo permetta. Il resto delle promesse – una riduzione dell’incidenza fiscale sui redditi da lavoro e un “ulteriore rifinanziamento” del Fondo Sanitario Nazionale – appaiono in forma vaga e subordinata, senza indicazioni concrete sugli strumenti o sull’ordine di intervento. «Confermiamo la linea di ferma e prudente responsabilità che tiene conto della necessità della tenuta della finanza pubblica nel rispetto delle nuove regole europee e delle imprescindibili tutele a favore della crescita economica e sociale dei lavoratori e delle famiglie», ha commentato il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti. Il testo, illustrato in Cdm, verrà poi inviato a Bruxelles e alle Camere, che hanno già calendarizzato l’esame in aula per il 9 ottobre.

Previsto anche di un “pacchetto famiglia” che potrebbe essere definito nelle prossime settimane. Le ipotesi circolate includono un bonus libri per le fasce di reddito più basse, modellato sull’esperienza di Veneto e Lombardia, e l’introduzione di misure ispirate al quoziente familiare per modulare la pressione fiscale in base al numero dei componenti del nucleo. Parallelamente, si valuta una revisione dei criteri di calcolo dell’Isee, che però non troverebbe spazio diretto in manovra, ma sarebbe oggetto di un provvedimento ad hoc. Sul fronte del lavoro, resta in sospeso la detassazione degli straordinari: potrebbe essere inserita successivamente, attraverso un emendamento in aula, una volta chiarite le risorse realmente disponibili. Tra i capitoli fiscali figura la cosiddetta rottamazione delle cartelle, ma in forma ridimensionata rispetto alle promesse iniziali: non più dieci anni e 120 rate, come proposto dalla Lega, bensì otto anni e 96 rate per i debiti minori, con un impianto che riduce sensibilmente la portata dell’intervento. La stessa dinamica si ritrova anche nella voce relativa alla Sanità, presentata ufficialmente come “rifinanziamento del Fondo sanitario nazionale”. In realtà, al netto della propaganda, l’obiettivo è garantire tra i due e i tre miliardi aggiuntivi, che si sommano ai quattro già inseriti nell’ultima legge di Bilancio: risorse che non rappresentano un piano di rilancio strutturale, ma un tentativo di tamponare la crisi cronica del settore, segnato da carenza di personale e precarietà diffusa. Al ministero della Salute si lavora a un piano da 27mila assunzioni, con priorità agli infermieri per colmare l’assenza di 70mila unità, un vuoto che pesa sulla qualità dell’assistenza e sulla tenuta dei reparti, ma l’entità degli stanziamenti fa pensare più a un adeguamento minimo per evitare il collasso che a una vera riforma. Il percorso sarà graduale, con un aumento stimato dell’1,5% del personale nel 2026, del 3% nel 2027 e fino al 6% nel 2028. Gli stanziamenti seguiranno la stessa progressione: 420 milioni di euro nel 2026, 845 milioni nel 2027 e 1,6 miliardi dal 2028. Nel complesso, le misure collaterali – bonus mirati, ritocchi all’Isee, mini-rottamazioni, annunci sul fronte sanitario – appaiono come aggiustamenti marginali. La manovra resta dominata dall’impronta di austerità dettata da Bruxelles e dall’impegno del governo a ridurre il deficit al 3% del PIL. In questo quadro le uniche voci di spesa destinate a crescere in modo certo e significativo sono quelle legate alla difesa, con miliardi già quantificati e un percorso di incremento pluriennale.

L’analisi delle spese destinate alla difesa rende evidente l’impostazione della manovra: per il 2026 il governo prevede che l’incremento della spesa militare equivalga a circa 3,3 miliardi, cifra derivata dallo 0,15 % del PIL e, quindi, salga ulteriormente negli anni successivi con l’aumentare della percentuale prevista (fino allo 0,5 % nel 2028). In totale, si parla di circa 11-12 miliardi aggiuntivi per la difesa su tre anni, se l’Italia riuscisse a liberarsi dalle misure restrittive imposte per il disavanzo eccessivo. È interessante osservare che nel comunicato del governo non è chiarito con precisione come questi incrementi saranno coperti né quale sarà l’impatto sulle altre voci di spesa. Le spese militari vengono trattate come una priorità automatica, con un meccanismo che sembra assorbire gran parte dello “spazio fiscale” disponibile, subordinando al contempo gli altri interventi a vincoli generici sull’equilibrio dei conti pubblici. Non è una descrizione di investimenti nel tessuto economico o sociale, ma una prenotazione sistematica di risorse per il comparto militare, da realizzarsi se condizionata all’uscita dalle procedure europee restrittive. Dietro lo slogan della riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro si intravede un impegno ancora indefinito, privo di cifre e tempistiche chiare. Anche il cosiddetto rifinanziamento del Fondo Sanitario Nazionale non appare come un investimento strutturale, ma come un adeguamento minimo per contenere l’impatto dell’inflazione e impedire il collasso di un sistema già fragile. La manovra nel suo complesso si configura così come un esercizio di austerità: riduzione del deficit, spesa compressa e crescita di risorse garantite soltanto alla difesa. Lavoro e sanità restano relegati a promesse generiche, subordinate a vincoli contabili e prive di veri stanziamenti.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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