mercoledì 1 Ottobre 2025

Un altro cittadino ucraino è stato arrestato per il sabotaggio del Nord Stream

Il mistero attorno al sabotaggio dei gasdotti Nord Stream si arricchisce di un nuovo tassello. La polizia polacca ha annunciato l’arresto di un cittadino ucraino, con mandato europeo emesso dalle autorità tedesche, accusato di aver partecipato all’attentato che, il 26 settembre del 2022, fece esplodere le condutture sottomarine nel Mar Baltico. La notizia diffusa dalla rete radiofonica privata RMF è stata confermata dal legale dell’uomo, identificato con il nome di Volodymyr Z.. L’arresto è avvenuto a Pruszkow, nel centro del Paese, alle porte della capitale Varsavia dove l’uomo è già stato messo a disposizione della procura. Si tratta del secondo fermo legato all’inchiesta: lo scorso maggio, infatti, un tribunale tedesco aveva già disposto la custodia cautelare per Serhii K., anch’egli di nazionalità ucraina, ritenuto parte del commando responsabile dell’operazione. Secondo le autorità di Varsavia, il nuovo indagato avrebbe avuto un ruolo nella logistica e nella preparazione dell’azione di sabotaggio, fornendo supporto e materiali utili all’esecuzione. La vicenda riporta così sotto i riflettori un caso che da tre anni continua a sollevare interrogativi e tensioni geopolitiche. Quando i gasdotti furono colpiti, il dibattito internazionale si concentrò immediatamente sulle possibili responsabilità della Russia. Gran parte della stampa occidentale, nonostante l’assenza di prove concrete, alimentò la tesi secondo cui Mosca avrebbe avuto interesse a danneggiare la propria stessa infrastruttura energetica per ricattare l’Europa e mantenere alta l’instabilità.

Una narrazione che già allora appariva contraddittoria e che oggi, alla luce degli arresti e delle nuove indagini si è sgretolata, inchiodando Kiev alle sue responsabilità. Da subito erano emerse le anomalie e le incongruenze di una pista che puntava a Mosca: il sabotaggio del Nord Stream aveva privato la Russia di uno strumento cruciale di pressione economica e politica, oltre che di miliardi di euro di introiti derivanti dalla vendita di gas all’Europa. Nonostante questo, i governi occidentali insistevano sulla responsabilità del Cremlino, rafforzando così la linea della contrapposizione totale e giustificando il sostegno militare a Kiev. Nel novembre del 2023, però, fonti governative statunitensi ammisero in via confidenziale che il sabotaggio era stato pianificato e condotto da un gruppo legato ai servizi segreti ucraini. La versione venne rilanciata dal Washington Post e confermata da ulteriori riscontri investigativi tedeschi. Secondo il quotidiano statunitense, sarebbe stato Roman Chervinsky, un colonnello delle forze armate ucraine per le operazioni speciali a gestire la logistica e il supporto a un team di circa sei persone che avrebbe poi piazzato l’esplosivo sotto al gasdotto. Chervinsky avrebbe preso ordini da funzionari ucraini sotto la guida diretta del generale Valery Zaluhny, il comandante in capo delle forze armate ucraine. Parallelamente, l’inchiesta del premio Pulitzer Seymour Hersh, pubblicata nel febbraio 2023, aveva scosso il dibattito internazionale. Secondo il giornalista investigativo americano, dietro l’operazione vi sarebbe stata la mano diretta degli Stati Uniti, con la collaborazione della Norvegia. Hersh sosteneva che Washington avesse avuto tutto l’interesse a spezzare definitivamente i rapporti energetici tra Europa e Russia, garantendo al contempo una maggiore dipendenza del Vecchio Continente dal gas liquefatto statunitense. L’arresto in Polonia conferma un quadro che, pur restando frammentario, conferma le responsabilità di Kiev per il sabotaggio, nonostante Zelensky abbia cercato fino all’ultimo di negare, dichiarando che «niente del genere è stato fatto dall’Ucraina, mostratemi le prove». Dopo il dossier pubblicato dal Washington Post, sono arrivati gli arresti.

Se da un lato le indagini tedesche e polacche hanno già raccolto prove concrete contro idue cittadini ucraini coinvolti in prima persona, dall’altro rimangono aperte le domande sugli eventuali mandanti politici. Era un’operazione condotta da Kiev in piena autonomia, oppure si trattò di un’azione coperta e appoggiata da partner occidentali, interessati a isolare definitivamente Mosca dal mercato energetico europeo? Ciò che appare evidente è che la narrazione dominante del 2022, che puntava il dito esclusivamente contro la Russia, si è rivelata infondata. Per mesi, Mosca è stata dipinta come il nemico pronto a sabotare se stesso, mentre oggi le rivelazioni giornalistiche, le ammissioni riservate di funzionari statunitensi e gli arresti in Europa convergono tutte nella stessa direzione: la Russia fu accusata senza prove, mentre i veri autori dell’attacco sembrano sempre più vicini al governo ucraino. La notizia dell’arresto giunge in un contesto di scambi di accuse reciproche di sabotaggi, con Mosca che ha insinuato che Kiev starebbe preparando una provocazione clamorosa in Polonia, un’azione di “false flag” per scatenare la reazione della NATO ed entrare in una guerra aperta. In questo clima di alta tensione, il caso del Nord Stream rappresenta un punto nevralgico della propaganda bellica e mostra come l’opinione pubblica occidentale sia stata guidata verso una lettura univoca, utile a giustificare scelte politiche e militari già prese.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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