mercoledì 1 Ottobre 2025

La pace è “woke”: Trump presenta il nuovo Dipartimento della Guerra USA

«Eravamo diventati il Dipartimento woke. Ma ora non più. L’era del Dipartimento della Difesa è finita, benvenuti in quello della Guerra». Con queste parole il segretario alla Difesa Pete Hegseth, nel suo discorso rivolto a centinaia di alti comandanti militari alla Marine Corps Base di Quantico, in Virginia, ha sancito il cambio di paradigma voluto da Donald Trump: il Pentagono non è più il custode della Difesa, ma il cuore pulsante di un nuovo “Dipartimento della Guerra”. Una scelta simbolica e politica che segna un ritorno al passato, quando, fino al 1947, la struttura militare americana si presentava con questo stesso nome, e allo stesso tempo un rovesciamento retorico di sapore orwelliano, che trasforma la pace in debolezza, la difesa in offesa, la protezione in attacco. Davanti a centinaia di generali riuniti a Quantico, Hegseth ha attaccato le precedenti leadership militari, accusate di aver indebolito l’esercito con le “sciocchezze ideologiche” progressiste – come le preoccupazioni per il cambiamento climatico, il bullismo o le promozioni basate sulla razza o sul genere – e di aver perso di vista la missione essenziale: prepararsi alla guerra e vincerla. Al tempo stesso, ha invitato chi non condivide la nuova linea a dimettersi, ridicolizzato i comandanti che non incarnano lo spirito di forza e disciplina, criticato aspramente l’inclusione femminile se non allineata agli standard maschili. Da oggi, ha annunciato Hegseth, si torna a standard fisici rigorosi con un inasprimento delle norme sulla forma fisica. Il nemico da combattere non è soltanto esterno, ma soprattutto interno: la cultura della diversità e dell’inclusione, definita “woke”, è considerata da questa amministrazione un’arma che corrode dall’interno la macchina bellica americana.

Anche i test di idoneità cambieranno, con le truppe da combattimento tenute a sostenere valutazioni neutre rispetto al genere e con un punteggio di età superiore al 70%. Inoltre, tutti i membri del servizio dovranno superare l’allenamento fisico e i controlli di altezza e peso due volte all’anno. Cambia tutto anche in materia di standard estetici: saranno vietati barbe, capelli lunghi e “espressioni individuali superficiali”, con un ritorno a un aspetto professionale e rasato. «Le uniche persone che meritano la pace sono quelle disposte a fare la guerra per difenderla. Ecco perché il pacifismo è così ingenuo e pericoloso», ha dichiarato Hegseth, secondo cui «o proteggi il tuo popolo e la tua sovranità o sarai sottomesso da qualcosa o qualcuno». Trump, intervenuto di persona, ha rincarato la dose. Ha rivendicato di aver “ricostruito l’esercito” proprio licenziando i generali che non seguivano i suoi ordini, ammonendo i presenti con il suo celebre “You’re fired” (“Sei licenziato”). Ha parlato di una “invasione dall’interno” che trasforma le città americane in veri e propri teatri di guerra, in cui il nemico non porta uniforme e non si distingue a occhio nudo. Da qui la proposta del presidente: le città americane che, come Portland, sembrano «una zona di guerra» vedranno sempre di più il dispiegamento dei militari americani, che potranno usarle anche per addestrarsi. Ha ribadito che l’arsenale nucleare statunitense è il più potente del mondo, affermando di sperare di non doverlo mai usare, ma lasciando intendere che la sua disponibilità costituisce la vera garanzia della pace. Nel suo discorso alla platea di vertici militari ha fatto riferimento diretto alle bombe nucleari e alle minacce che arrivano dalla Russia: «Siamo stati minacciati un pochino dalla Russia recentemente e io ho inviato un sottomarino, un sottomarino nucleare, l’arma più letale che sia stata mai fatta. Numero uno, non si può localizzare, siamo 25 anni avanti rispetto a Cina e Russia sui sottomarini». In questo scenario, la pace viene celebrata come conquista ottenuta solo attraverso la forza. Trump non ha rinunciato alla sua ossessione per il Nobel per la pace, ricordando come a suo dire avrebbe risolto sette guerre senza ricevere il riconoscimento. Un’uscita che mostra l’incredibile contraddizione di fondo: autoproclamarsi pacificatore mentre si rilancia la logica della guerra permanente. Va in questa direzione quanto emerso grazie a un sistema di tracciamento open source che ha rivelato, nelle scorse ore, un dispiegamento su larga scala di aerei cisterna dell’Aeronautica Militare statunitense verso il Qatar, alimentando speculazioni su un’imminente azione contro l’Iran. Gli aerei KC-135 Stratotanker e KC-46 Pegasus sono in rotta verso la base aerea di Al Udeid, a indicare una maggiore prontezza militare statunitense.

Alcuni generali, dietro le quinte, avrebbero espresso riserve, come già anticipato dal Washington Post: la concentrazione ossessiva sul nemico interno rischia di far dimenticare sfide più complesse e reali, come l’ascesa della Cina. Ma la macchina comunicativa trumpiana non ammette esitazioni: chi non si allinea viene rimosso, chi resta deve giurare fedeltà assoluta. Hegseth ha anche annunciato una serie di tagli e riforme all’esercito statunitense, spiegando che «È quasi impossibile cambiare una cultura con le stesse persone che hanno contribuito a creare o addirittura beneficiato di quella cultura». Il capo del Pentagono ha ordinato una riduzione del 10% nel numero di generali e ammiragli in tutte le forze armate, con un taglio più drastico del 20% per i generali e ammiragli a quattro stelle e ha invitato i comandanti di più alto grado che non concordano con la sua visione a dimettersi. L’operazione appare come una controrivoluzione culturale che mira a epurare le Forze armate da ogni traccia di pluralismo o dissenso, ripristinando un modello di comando verticale, duro e monolitico. Il ribattezzato Dipartimento della Guerra non è soltanto un nuovo nome, ma una vera e propria dichiarazione ideologica: se la pace è “woke”, la guerra diventa il linguaggio naturale del potere. La contrapposizione non è più tra guerra e pace, ma tra forza e debolezza, tra supremazia e resa. In questo quadro, l’America si presenta come una nazione che non cerca più di difendere l’ordine mondiale, ma di imporlo con una politica muscolare e aggressiva, con la minaccia costante al ricorso della violenza. Intanto, mentre si discute della nuova politica del Pentagono, gli Stati Uniti sono entrati ufficialmente in shutdown, con il congelamento di parte dell’amministrazione federale: è la prima volta che accade in sette anni e al momento non c’è una soluzione in vista per l’impasse di bilancio al Congresso americano. Lo scontro riguarda i fondi per la sanità, con i repubblicani che hanno bocciato l’estensione dei sussidi dell’Obamacare. Trump, durante il suo primo mandato presidenziale fu protagonista della sospensione amministrativa più lunga della storia americana: 35 giorni, dal 22 dicembre 2018 al 25 gennaio 2019, con una piccola ininfluente pausa all’inizio. Allora, il nodo del contendere riguardava i cosiddetti Dreamers e le risorse per la costruzione del muro al confine con il Messico. Ora, la crisi di bilancio rischia di aggravarsi, acuendo non solo la frattura tra Trump e l’opposizione, ma anche quella tra la Casa Bianca e un mondo che osserva con crescente inquietudine le sue prossime mosse.

Avatar photo

Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

1 commento

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria