lunedì 29 Settembre 2025

Regno Unito: esplode la protesta contro l’introduzione dell’identità digitale

Il 26 settembre scorso il Primo Ministro britannico Keir Starmer ha annunciato l’introduzione di un sistema di identità digitale obbligatorio per i lavoratori. La cosiddetta “Brit card” diventerà indispensabile per chiunque voglia dimostrare il proprio diritto al lavoro entro la fine della legislatura, prevista per il 2029. Una misura che Downing Street presenta come necessaria per rafforzare i controlli sull’immigrazione e per rendere “più equo” il sistema migratorio, ma che in poche ore ha scatenato un’ondata di proteste senza precedenti. L’esecutivo ha precisato che non sarà necessario portare con sé un documento fisico: l’ID sarà integrato in piattaforme digitali e potrà essere utilizzato anche per accedere a servizi pubblici come patente di guida, assistenza all’infanzia, welfare e dichiarazioni fiscali. Dettagli tecnici (biometria, governance dei dati) saranno definiti con consultazione pubblica e nuova legislazione. Londra ha già provato in passato ad andare in questa direzione: la Identity Cards Act 2006 del governo Blair avviò un registro nazionale, che fu abrogato nel 2010 con tutti i dati cancellati. La nuova mossa di Starmer riapre un dossier politicamente sensibile, promettendo che il nuovo sistema renderà più difficile l’impiego di lavoratori clandestini, ostacolando così l’immigrazione irregolare e riducendo le sacche di lavoro nero. L’ufficio del Primo Ministro parla di “modernizzazione” e di un “investimento nel futuro digitale del Regno Unito”, ma dietro la retorica governativa emergono le prime crepe: associazioni, giuristi e difensori dei diritti civili denunciano rischi concreti per la privacy, l’accessibilità e la libertà individuale.

Un sondaggio YouGov reso pubblico il giorno successivo l’annuncio mostra un Paese spaccato: il 45% degli intervistati si dichiara contrario, il 42% favorevole, mentre il 14% non si pronuncia. Il malcontento è esploso immediatamente online. Una petizione che definisce la misura «un passo avanti verso la sorveglianza di massa e il controllo digitale», ha superato in poche ore le 2,4 milioni di firme. La scadenza della petizione è fissata per il 9 gennaio 2026, e supera abbondantemente la soglia delle 100.000 firme che rende possibile un dibattito parlamentare. In diverse città si sono tenute manifestazioni spontanee, con cartelli che paragonano la Brit card a un lasciapassare orwelliano per sorvegliare la popolazione. Le critiche si concentrano soprattutto sulla possibilità che categorie fragili come anziani senza dimestichezza con le tecnologie, disoccupati o persone con redditi bassi vengano escluse da servizi fondamentali. A livello politico, la proposta ha ricompattato le opposizioni. Nigel Farage, leader del Reform Party, che i sondaggi danno oggi come prima forza politica, ha definito il progetto una “carta anti-britannica” destinata ad aumentare la burocrazia e il controllo statale senza incidere realmente sull’immigrazione. Dello stesso avviso i conservatori, guidati da Kemi Badenoch, che hanno ricordato la storica opposizione dei Tories alle carte di identità obbligatorie. Anche i liberaldemocratici si sono schierati contro, lanciando la campagna “No to Digital ID Cards” e denunciando un “ricatto digitale” che costringerebbe i cittadini a cedere dati personali per svolgere attività quotidiane. Non meno dura la voce di Jeremy Corbyn, ex leader laburista, oggi deputato indipendente e fondatore del nuovo partito Your Party. Corbyn ha parlato di un «affronto alle libertà civili», che rischia di complicare la vita ai più vulnerabili e di trasformare il rapporto tra cittadino e Stato in una forma di sorveglianza permanente. Per molti osservatori, la convergenza di critiche da destra e da sinistra indica che la battaglia sulla Brit card potrebbe diventare il vero banco di prova politico per il governo Starmer. Le resistenze sono particolarmente forti in Scozia e Irlanda del Nord: il First Minister scozzese John Swinney ha criticato duramente l’obbligatorietà della manovra, mentre a Belfast, Michelle O’Neill (Sinn Féin) ha definito la misura «ridicola e mal concepita», evocando anche un possibile contrasto con il Good Friday Agreement, uno dei più importanti sviluppi del processo di pace in Irlanda del Nord.

Oltre alla contrapposizione parlamentare, il dibattito sta assumendo un significato più profondo. Non è in discussione soltanto l’efficacia dello strumento nella lotta all’immigrazione illegale, ma l’idea stessa di cittadinanza in una società sempre più digitalizzata, in cui il Green Prass ha svolto, durante la pandemia, una funzione pilota di sperimentazione, offrendo l’impulso per accelerare il processo in corso. L’ID obbligatorio apre scenari che vanno oltre il confine britannico: in molti temono che Londra possa fare da apripista a un modello destinato a diffondersi in Europa. Proprio a Bruxelles, infatti, è in corso la sperimentazione del Digital Identity Wallet, il portafoglio elettronico che l’Unione europea vorrebbe introdurre per uniformare l’accesso ai servizi pubblici e privati degli Stati membri. Se a livello ufficiale l’UE presenta il progetto come uno strumento di semplificazione, utile per facilitare spostamenti, pagamenti e pratiche burocratiche, le critiche sollevate in Gran Bretagna ricalcano quelle già emerse in diversi Paesi europei: timori per la centralizzazione dei dati sensibili, possibilità di abusi da parte delle autorità e vulnerabilità informatiche che potrebbero trasformare l’identità digitale in una minaccia per la privacy. Nel Regno Unito l’assenza di un’alternativa cartacea acuisce il problema dell’inclusione digitale, in una nazione dove milioni di cittadini non dispongono di smartphone o competenze tecnologiche adeguate. La narrazione del governo Starmer, imperniata sulla lotta all’immigrazione e al lavoro nero, rischia dunque di mascherare un processo più ampio di controllo sociale: in gioco non vi è soltanto la gestione dei flussi migratori, ma la ridefinizione del rapporto tra libertà e sicurezza in un’epoca dominata dal digitale. Le piazze britanniche, animate da un dissenso trasversale e crescente, mostrano quanto profonda sia la frattura tra istituzioni e cittadini. Se la Brit card passerà o meno sarà deciso nei prossimi mesi, ma la battaglia politica e simbolica che ha innescato segna già un punto di svolta nel dibattito europeo sulle identità digitali.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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