Le navi della Global Sumud Flotilla, la coalizione umanitaria che intende rompere l’assedio marittimo di Israele su Gaza, sono ripartite dalle coste greche, e ora puntano dritto verso Gaza. Gli attivisti hanno dunque rifiutato le proposte di mediazione avanzate dall’Italia, che prevedevano lo scarico degli aiuti a Cipro, dove sarebbero stati affidati alla chiesa latina di Gerusalemme passando dal porto israeliano di Ashdod. «Cambiare rotta significherebbe ammettere che si lascia operare un governo – quello israeliano – in modo illegale senza poter fare nulla», ha spiegato la portavoce italiana del gruppo Maria Elena Delia, ribadendo la piena legalità in cui si muove la missione umanitaria e l’illegittimità di eventuali azioni israeliane. La flotta si trova ora a circa quattro giorni di navigazione dalle coste di Gaza, e si sta avvicinando alle acque palestinesi, che il ministro Tajani insiste a definire “israeliane”, andando contro la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare.
La Global Sumud Flotilla è ripartita dalle coste greche ieri, domenica 28 settembre, dopo avere fatto una breve sosta sull’isola di Creta. Le navi della flotta, in questo momento 44, si trovano ora a 370 miglia nautiche dalle coste gazawi, che corrispondono a circa quattro giorni di navigazione; tra due giorni dovrebbero raggiungere quella che gli attivisti definiscono “zona arancione”, l’area in cui è più probabile che Israele le intercetti. Il rifiuto della mediazione italiana era nell’aria sin da quando la proposta è stata avanzata dal governo italiano – poi rilanciata dal presidente Mattarella – ed è stato anticipato in una conferenza stampa lo scorso venerdì; l’annuncio ufficiale è arrivato sabato, dalla portavoce italiana Maria Elena Delia, che ha spiegato che le ragioni del rifiuto sono «sostanziali», e non una semplice petizione di principio.
«Noi non possiamo accettare questa proposta perché arriva per evitare che le nostre barche navighino in acque internazionali con il rischio d’essere attaccate. È come dire: se vi volete salvare, noi non possiamo chiedere a chi vi attaccherà di non attaccarvi, malgrado sia un reato, chiediamo a voi di scansarvi», ha detto l’attivista. Un «corto circuito», afferma Delia, che sta alla base di quello stesso meccanismo per cui oggi «Israele sta commettendo un genocidio senza che nessuno dei nostri governi abbia avuto il coraggio di porre delle sanzioni, porre un embargo sulle armi, o chiudere almeno una parte dei rapporti commerciali». Se i governi adottassero una di queste soluzioni, la missione sarebbe pronta a valutare mediazioni, ha detto l’attivista, «ma non cambiando rotta».
Delia ha ribadito la piena legalità della missione: «Noi non stiamo facendo nulla di male. Perché non dobbiamo navigare in acque internazionali? Cosa succederebbe se invece delle nostre barche ci fossero le barche di turisti, aggredite da dei droni in acque internazionali in maniera violenta?». Le navi della Global Sumud Flotilla si trovano, effettivamente, in acque internazionali, dove Israele non ha giurisdizione. La rotta che stanno seguendo le porterebbe direttamente in acque palestinesi, e non “israeliane”, come Tajani continua a definirle: il territorio marittimo palestinese è infatti tracciato in una dichiarazione del 2019, che risponde alle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, di cui la Palestina è firmataria dal 2015. L’Italia stessa ha ratificato la Convenzione, e, con essa, oltre 160 Paesi. In ogni caso, il ministro degli Esteri ha affermato che la nave italiana che sta accompagnando la Global Flotilla non entrerà in tali acque. La fregata italiana era stata inviata in seguito a un attacco con droni scagliato contro diverse imbarcazioni della flotta, colpite da bombe assordanti, oggetti non identificati e spray urticanti mentre si trovavano in prossimità di Creta.
Governo di servi pusillanimi!