In quella che appare come una netta inversione di rotta in merito ai futuri equilibri nel Medio Oriente, diversi media statunitensi e israeliani hanno diffuso i presunti dettagli del piano elaborato dal presidente USA Donald Trump per porre fine al conflitto di Gaza. Il progetto, articolato in 21 punti e discusso con alcuni alleati arabi a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU, si fonderebbe su un approccio di realpolitik, combinando esigenze di sicurezza e pragmatismo con una cauta e sfumata apertura alla prospettiva di un futuro Stato palestinese. «Siamo molto vicini ad un accordo», ha annunciato Trump dopo aver illustrato il programma ai leader arabi (dal Qatar all’Arabia Saudita, dall’Egitto alla Turchia). Secondo i media ebraici, Hamas avrebbe dato un ok “di principio” agli Stati Uniti, ma non vi è ancora certezza che i suoi negoziatori abbiano già ricevuto i documenti da esaminare.
Il piano del presidente statunitense per Gaza prevede una serie di misure politiche, economiche e di sicurezza. Ecco la lista dei 21 punti diramata dagli organi di informazione americani e israeliani:
- 1) Trasformare Gaza in un’area libera da “estremismo e terrorismo”
- 2) Ricostruire completamente la Striscia.
- 3) Terminare la guerra appena le due parti accettano, e fermare le operazioni militari israeliane con l’inizio del ritiro graduale da Gaza.
- 4) Restituire tutti gli ostaggi vivi e i corpi dei morti entro 48 ore dall’accettazione pubblica dell’accordo da parte di Israele.
- 5) Rilasciare centinaia di prigionieri palestinesi condannati all’ergastolo e oltre 1000 detenuti dall’inizio della guerra, e consegnare i corpi di centinaia di palestinesi.
- 6) Concedere un’amnistia condizionata ai membri di Hamas che desiderano partire.
- 7) Far affluire aiuti a Gaza a un ritmo di almeno 600 camion al giorno, con la riqualificazione delle infrastrutture e l’ingresso di attrezzature per la rimozione delle macerie.
- 8) Distribuire gli aiuti attraverso le Nazioni Unite, la Mezzaluna Rossa e organizzazioni internazionali neutrali senza l’interferenza di alcuna parte.
- 9) Gestire Gaza da parte di un governo transitorio temporaneo di tecnocrati palestinesi sotto la supervisione di un’autorità internazionale guidata da Washington in collaborazione con partner arabi ed europei.
- 10) Creare un piano economico per la ricostruzione di Gaza.
- 11) Creare una zona economica con tasse e dazi ridotti.
- 12) Impedire lo spostamento forzato dei palestinesi.
- 13) Disarmare Hamas e impedirle di governare.
- 14) Fornire garanzie di sicurezza da parte di stati regionali per garantire l’impegno di tutte le parti.
- 15) Formare una forza di stabilità internazionale temporanea guidata da americani e arabi per supervisionare la sicurezza e addestrare la polizia locale.
- 16) Ritiro graduale dell’esercito israeliano.
- 17) Possibilità di attuare parzialmente il piano in caso di rifiuto di Hamas.
- 18) Impegno di Israele a non effettuare attacchi in Qatar.
- 19) Avviare programmi per smantellare il pensiero estremista.
- 20) Preparare la strada per la creazione di uno Stato palestinese in futuro.
- 21) Avviare un dialogo politico completo tra Israele e i palestinesi.
La proposta avanzata da Trump presenta, in maniera evidente, una contraddizione di fondo con alcuni diritti inalienabili del popolo palestinese sanciti dal diritto internazionale. Elementi come l’affidamento della Striscia a un governo di “tecnocrati palestinesi” sotto supervisione internazionale e l’esclusione categorica di Hamas da qualsiasi ruolo futuro, infatti, violerebbero il principio fondamentale di autodeterminazione. Questo diritto implica la libertà per un popolo di decidere autonomamente la forma del proprio governo e del proprio futuro politico. Il piano, di fatto, istituisce un’amministrazione transitoria che agirebbe per conto di potenze estere, in netto contrasto con i principi di sovranità e indipendenza che dovrebbero caratterizzare ogni Stato nazionale.
Tuttavia, il piano rappresenta anche un significativo “bagno di realtà” sia per Trump che per Netanyahu. Da un lato, Trump, per trovare una quadra con i paesi arabi – fondamentali per garantire la stabilità e l’efficacia di qualsiasi accordo – ha dovuto abbandonare l’idea, ventilata poche settimane fa, di una “Riviera di Gaza” e di uno spostamento forzato della popolazione, elaborando invece una proposta molto più strutturata. Dall’altro lato, anche Israele è chiamato a fare concessioni sostanziali: il piano prevede infatti il ritiro graduale dell’esercito, costringendo Netanyahu a rinunciare sia ai piani di una permanenza indefinita nella Striscia, sia alle mire estremiste di alcuni suoi ministri che prevedevano una conquista e una colonizzazione vera e propria di Gaza.
Chi garantisce la “gradualita’” del ritiro dell’esercito israeliano?