I ministri delle Finanze dell’Unione europea hanno raggiunto un’intesa politica sulla tabella di marcia per l’introduzione dell’euro digitale. Si tratta di un progetto che Bruxelles porta avanti da anni, con l’obiettivo di creare una Central Bank Digital Currency (CBDC) emessa direttamente dalla Banca Centrale Europea (BCE). L’accordo fissa i tempi e le modalità di sperimentazione, indicando il 2028 come data ipotetica per un primo lancio operativo, se i test in corso daranno risultati positivi. La decisione arriva in un contesto di crescente competizione internazionale: la Cina ha già introdotto il proprio yuan digitale, rilasciato dalla Banca Centrale Cinese, mentre altre banche centrali si muovono nella stessa direzione. Per i governi europei, la creazione di un euro digitale risponde all’esigenza di mantenere la sovranità monetaria in un mondo sempre più orientato verso pagamenti dematerializzati e controllati da operatori privati. Per Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, la moneta unica digitale è «una dichiarazione politica sulla sovranità dell’Europa», similmente per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si tratta di «uno strumento a difesa della nostra sovranità finanziaria». L’euro digitale non sostituirebbe immediatamente il contante, ma si affiancherebbe ad esso come strumento di pagamento elettronico ufficiale, garantito dalla BCE.
Secondo i ministri, l’euro digitale dovrebbe offrire un’alternativa sicura e accessibile rispetto ai circuiti gestiti da colossi internazionali come Visa, Mastercard o le piattaforme fintech (Financial Technology). L’obiettivo è quello di garantire pagamenti rapidi, a basso costo e in tutta l’area euro, senza dipendere dall’infrastruttura tecnologica di attori esterni. Il regolamento in discussione presso Parlamento e Consiglio europeo fissa alcuni limiti, tra cui un tetto massimo di utilizzo per prevenire fenomeni di concentrazione e garantire la stabilità del sistema bancario. La moneta digitale della BCE non sarà concepita come uno strumento di investimento, ma come mezzo di pagamento quotidiano. Tra i punti sottolineati vi è la necessità di mantenere la fiducia dei cittadini, assicurando un livello adeguato di protezione dei dati e la compatibilità con il quadro normativo già esistente. Non mancano però tensioni istituzionali. Alcuni governi e parlamentari hanno espresso dubbi sul conferire alla BCE un potere così esteso, soprattutto dopo il blackout che ha colpito il sistema Target2 lo scorso mese, paralizzando per un’intera giornata i regolamenti interbancari. L’incidente ha mostrato la vulnerabilità di un’infrastruttura centralizzata e ha riacceso il dibattito sulla sicurezza dei sistemi digitali.
Se da un lato il progetto è presentato come una modernizzazione necessaria, dall’altro emergono interrogativi di fondo sui rischi legati all’euro digitale. Lagarde ha provato a liquidare come “teorie del complotto” i timori di controllo pervasivo, assicurando che «l’obiettivo è proteggere la privacy, non l’anonimato» e ha respinto l’immagine di un Grande Fratello digitale, pronto a decidere cosa e quando i cittadini debbano acquistare, ma resta il fatto che la natura stessa di una CBDC attribuirebbe alle istituzioni un potere senza precedenti. A differenza del contante, che garantisce anonimato e libertà d’uso, la valuta digitale sarebbe tracciabile in ogni transazione. Ciò aprirebbe alla possibilità di una sorveglianza capillare: governi e BCE avrebbero accesso a dati dettagliati sulla vita economica delle persone, con conseguenze significative per la privacy finanziaria. La centralizzazione comporterebbe inoltre la facoltà di limitare o vietare alcune tipologie di spesa, introducendo forme di censura economica: ad esempio, un governo potrebbe decidere di impedire transazioni verso organizzazioni considerate politicamente scomode, oppure potrebbe limitare le spese per determinati beni e servizi ritenuti dannosi o non prioritari. Questo tipo di controllo finanziario potrebbe trasformarsi in un meccanismo di coercizione sociale, minando la libertà individuale e il diritto alla proprietà privata. Se la BCE e i governi nazionali avessero accesso in tempo reale ai dati finanziari, potrebbero utilizzarli per tracciare il comportamento economico degli individui, individuare potenziali “comportamenti sospetti” e persino punire chiunque si discosti dalle norme stabilite.
Uno degli aspetti più controversi dell’euro digitale è proprio la sua natura centralizzata. A differenza delle criptovalute decentralizzate, come Bitcoin, che consentono agli utenti di detenere e trasferire fondi senza l’intermediazione di un’istituzione centrale, l’euro digitale sarebbe controllato direttamente dalla BCE. Questa centralizzazione potrebbe significare che i cittadini perderebbero la sovranità sui propri risparmi e sulle proprie transazioni. In caso di crisi economiche, la BCE potrebbe teoricamente imporre tassi di interesse negativi sui depositi digitali, forzando le persone a spendere anziché risparmiare. Inoltre, potrebbe introdurre meccanismi di scadenza della moneta, limitando la capacità di accumulare risorse nel tempo o legando la moneta ai crediti di carbonio. Accanto al rischio di un controllo statale totale, si somma la vulnerabilità informatica: un attacco hacker a un sistema così vasto e centralizzato potrebbe provocare danni miliardari e mettere in crisi l’intero circuito dei pagamenti. Non meno rilevante è il pericolo di fughe di dati, che potrebbero essere sfruttati da aziende private per profilazioni e pratiche invasive. Infine, l’euro digitale accelererebbe la spinta verso una società senza contanti. Questo scenario, presentato come moderno ed efficiente, eliminerebbe però una valvola di libertà concreta e creerebbe un potenziale strumento di coercizione mai sperimentato nella storia. Il dibattito è appena iniziato, ma i nodi politici e democratici che circondano l’euro digitale restano irrisolti.