Dopo l’annuncio della World Boxing per il pugilato dilettantistico è arrivato anche quello della World Athletics: per poter prendere parte alle competizioni di atletica leggera, le atlete donne devono sottoporsi a un test del DNA, al fine di determinarne con un certo grado di certezza il sesso biologico. La verifica consiste, per entrambe gli enti, nell’esame del gene SRY (Sex-determining Region Y), generalmente presente sul cromosoma Y e considerato un elemento affidabile per determinare se biologicamente la persona sia uomo o donna. Gli annunci seguono quanto accaduto alle Olimpiadi 2024 con la pugile Imane Khelif, accusata (senza che esistesse alcuna prova pubblica) di non essere “completamente donna” e di aver goduto, per questo, di un sostanziale vantaggio sulle avversarie.
Il regolamento è già in vigore per gli attuali Mondiali di atletica di Tokyo, iniziati lo scorso sabato 13 settembre. Il test, realizzato tramite tampone buccale o prelievo del sangue, riguarda il gene SRY, considerato «un indicatore affidabile per determinare il sesso biologico». Sebastian Coe, presidente della World Athletics, ha dichiarato che «in uno sport che cerca costantemente di attirare più donne, è davvero importante che queste ultime entrino in questo mondo credendo che non esistano barriere biologiche». Dunque, «a livello agonistico, per competere nella categoria femminile, bisogna essere biologicamente donne». Per la World Athletics, la categoria delle donne può comprendere: le «donne biologiche»; le donne che non abbiano utilizzato testosterone per compiere il percorso di affermazione di genere maschile da almeno un anno; maschi biologici affetti da sindrome di insensibilità completa agli androgeni e che dunque non hanno attraversato il periodo di sviluppo sessuale maschile; maschi biologici con una DSD che soddisfi le disposizioni transitorie emanate dalla World Athletics.
Il 30 maggio scorso, la World Boxing, l’ente che si occupa del pugilato a livello dilettantistico, aveva introdotto la medesima misura, basata sempre sull’analisi del gene SRY. Il test è obbligatorio per tutti gli atleti al di sopra dei 18 anni che desiderino partecipare a una competizione organizzata dall’ente. «Gli atleti considerati maschi alla nascita, come dimostrato dalla presenza del materiale genetico del cromosoma Y (il gene SRY) o con una differenza dello sviluppo sessuale (DSD) in cui si verifica l’androgenizzazione maschile, saranno ammessi a competere nella categoria maschile», mentre «gli atleti considerati femmine alla nascita, come dimostrato dalla presenza dei cromosomi XX o dall’assenza del materiale genetico del cromosoma Y (il gene SRY) o con un DSD in cui non si verifica l’androgenizzazione maschile, potranno competere nella categoria femminile» riporta il comunicato. In caso sia riscontrata la presenza di materiale genetico del cromosoma Y e un eventuale Disturbo della Differenziazione Sessuale (DSD), allora «gli screening iniziali saranno sottoposti a specialisti clinici indipendenti per lo screening genetico, i profili ormonali, l’esame anatomico o altre valutazioni dei profili endocrini da parte di medici specialisti».
La decisione dei due enti prova a dare una risposta agli interrogativi esplosi dopo la partecipazione della pugile Imane Khelif alle Olimpiadi del 2024. Dopo ave vinto il match contro l’avversaria Angela Carini, Khelif era stata accusata, per via della sua struttura fisica, di essere prima una transessuale, poi un travestito, poi ancora una persona intersessuale – il tutto su base di pura speculazione mediatica, senza che vi fosse alcun documento a supportare nessuna tesi. Recentemente, proprio a causa del suo rifiuto a sottoporsi al test genetico, Khelif non è stata ammessa ai Mondiali di pugilato di Liverpool.
La procedura individuata dai due enti si propone di trovare “una volta per tutte” una soluzione a un problema complesso: la classificazione delle persone intersessuali (ovvero che persone che presentano, a livello biologico, differenze o variazioni nello sviluppo del sesso, che possono riguardare tanto cromosomi e ormoni sessuali quanto i genitali esterni o gli organi riproduttivi interni). Tuttavia, questa non è sufficiente per tracciare delle linee con un sufficiente margine di certezza. Per citare solamente un paio di esempi, vi sono casi in cui persone nate con cromosoma XY hanno il gene SRY che non risponde agli androgeni, con il conseguente sviluppo di tratti somatici chiaramente femmini (Sindrome di Morris). In altri casi, invece, persone con cromosoma XX possiedono il gene SRY (Sindrome de la Chapelle).
OII Europe, l’associazione che si occupa della tutela delle persone intersex, ha criticato la scelta di World Athletics e World Boxing definendo il test del SRY «imperfetto» e ricordato che la stessa World Athletics lo aveva bandito, dopo averlo introdotto negli anni Novanta, a causa dell’alto numero di falsi positivi e di casi di DSD. L’associazione ha anche ricordato che «le prove scientifiche dimostrano che una moltitudine di fattori influenzano e incidono sulle prestazioni atletiche e il testosterone è solo uno dei tanti fattori (ad esempio l’assorbimento di ossigeno, la densità capillare o la capacità di tollerare alti livelli di acido lattico) che incidono sulle prestazioni». Secondo l’OII, le nuove norme costituiscono il risultato del diffondersi, da un lato, di politiche discriminatorie nei confronti della comunità LGBTI e, dall’altro, dalle politiche trumpiane, che impongono il divieto alle atlete trans di partecipare alle competizioni sportive.
La questione riporta a galla un tema complesso, ovvero la divisione in categorie degli atleti nelle competizioni. Il sistema impiegato fino ad oggi, che suddivide le persone in base a età, sesso e peso, non risponde evidentemente alla complessità di casistiche nelle quali ci si può imbattere. Non si tratta affatto di un tema da poco conto, soprattutto negli sport da combattimento, dove si può incorrere in seri rischi per l’incolumità di una persona. Eppure, la biologia stessa – con tutte quelle varianti che, con eccesso di medicalizzazione, si tende a indicare come “sindromi” e “disturbi” – ci mostra che la sessualità non è binaria, ma prevede un’ampia serie di variabili. Un concetto ancora difficile da elaborare a livello di società e, forse per questo, ancora più complesso da applicare allo sport.