Il discorso di Usrula von der Leyen sullo stato dell’Unione, il quinto della sua carriera, si è aperto come un proclama: «L’Europa deve combattere». «Non si può più vivere di nostalgia», continua, perché «si profila uno scontro per il nuovo ordine mondiale basato sul potere». Ormai, per la presidente della Commissione, «L’Europa è in lotta», per l’unità, la pace, l’indipendenza e l’autodeterminazione: in poche parole, «per il nostro futuro». L’immagine che von der Leyen delinea è quella di un continente che deve diventare soggetto attivo in un contesto dominato da «ambizioni imperiali e guerre imperiali», in cui «le dipendenze vengono spietatamente trasformate in armi». Da questa diagnosi si ricava un imperativo: deve emergere una nuova Europa, non c’è spazio per la nostalgia dell’Unione com’era. Nel suo discorso, oltre a ribadire l’appoggio all’Ucraina, von der Leyen ha poi proposto sanzioni verso Israele e i coloni violenti alla luce della situazione «insostenibile» a Gaza e in Palestina.
Il linguaggio della presidente rimanda esplicitamente a un’economia di guerra: risorse da mobilitare, disciplina collettiva, sforzo permanente. È un discorso che trasforma la retorica della crisi in un atto fondativo, chiamando gli europei a un conflitto che è insieme politico, economico e culturale. Dietro la retorica della lotta si intravede un’agenda precisa. Il sostegno all’Ucraina, ad esempio, viene inquadrato non solo con un’alleanza sui droni, ma anche in termini finanziari con la proposta di un prestito di 6 miliardi di euro basato sui profitti degli asset russi congelati in Europa. Il capitale rimarrebbe intatto e l’Ucraina restituirebbe solo una volta che la Russia avrà pagato le riparazioni. È il tentativo di tradurre la guerra in uno strumento economico, di trasformare l’atto bellico in una forma di ingegneria finanziaria. Parallelamente, la Commissione annuncia l’introduzione di nuove misure commerciali per proteggere i settori strategici. In particolare, l’acciaio, che verrà tutelato attraverso un nuovo sistema di limitazioni alle importazioni, sostenuto da investimenti per la decarbonizzazione. La concorrenza globale, in questo quadro, non è più una dinamica di mercato, ma un campo di battaglia che richiede difese interne e strumenti protettivi. Al centro, resta il progetto di rafforzamento della difesa comune. Von der Leyen rilancia l’iniziativa di riarmo che potrebbe mobilitare fino a 800 miliardi di euro entro il 2030 per potenziare le capacità militari e costruire un’industria della difesa europea. L’obiettivo è un continente in grado di sostenersi senza dipendere da alleanze esterne, capace di definire la propria autonomia strategica. Sul fronte transatlantico, la presidente difende l’accordo commerciale con gli Stati Uniti, bollato da molti come una resa. Lo presenta come il miglior compromesso possibile, ma resta evidente che la percezione pubblica rimane divisa e che la fragilità della coesione interna minaccia di depotenziare l’intero impianto. Contestata dalla destra, la presidente della Commissione precisa che «Abbiamo urgente bisogno dello Scudo europeo per la democrazia, e intendiamo istituire un nuovo Centro europeo per la resilienza democratica, che unisca le capacità degli Stati membri per combattere la disinformazione e la manipolazione delle informazioni».
Non meno rilevante è il passaggio dedicato alla guerra in Medio Oriente, dove von der Leyen riconosce che «ciò che sta accadendo a Gaza è inaccettabile» e che l’Unione non può più permettersi la paralisi decisionale. Annuncia la proposta di sospendere il sostegno bilaterale a Israele, di interrompere i pagamenti nei settori governativi e di introdurre sanzioni mirate contro ministri estremisti e coloni violenti, insieme a una sospensione parziale dell’Accordo di Associazione sulle questioni commerciali. «L’UE per Gaza deve fare di più», insiste, denunciando la carestia come «arma di guerra» e descrivendo scene devastanti di madri che stringono figli senza vita e persone uccise mentre cercavano cibo. Parla di un soffocamento finanziario dell’Autorità Nazionale Palestinese, di progetti di insediamento che spezzerebbero la Cisgiordania, di dichiarazioni incendiarie dei ministri più estremisti. Tutto questo, secondo la presidente, mina in modo deliberato la prospettiva dei due Stati e la possibilità di uno stato palestinese sostenibile. In questo quadro, la sua voce assume toni di condanna etica oltre che politica, pur lasciando intendere quanto sarà difficile costruire una vera maggioranza all’interno dell’Unione.
Il centro del discorso resta, però, che «L’Europa deve combattere». È il passaggio in cui la retorica si fa più scoperta: non si tratta più solo di sostenere l’Ucraina o di difendere i «valori europei», ma di spingere l’intero continente verso una logica di mobilitazione permanente che prepara il terreno a un confronto diretto con la Russia. La retorica della lotta, l’invocazione all’economia di guerra e al nuovo ordine mondiale diventano strumenti per giustificare sanzioni, spese militari senza precedenti e misure straordinarie che rischiano di trascinare i popoli europei in un conflitto globale. Il discorso si chiude sul paradosso di un’Europa che dice di lottare per la pace brandendo lo slogan della guerra. Von der Leyen parla di libertà, valori e futuro, ma lo fa con un linguaggio che riecheggia il vecchio motto «Si vis pacem, para bellum». È un lessico orwelliano: proclamare la pace mentre si invoca la mobilitazione, difendere la democrazia con gli strumenti della guerra, giustificare sacrifici in nome della libertà. Così il rischio è che l’Unione non solo si prepari a uno scontro frontale con la Russia, ma si avviti in una spirale retorica che normalizza l’eccezione bellica come condizione permanente. Se il progetto europeo si riduce a questo, allora la promessa di un continente unito e libero rischia di dissolversi dietro il velo di una propaganda che chiama guerra ciò che dice di voler evitare.
Ci vadano LEI e l’amica del cuore kallas a combattere sul fronte ucraino, e facciano una morte eroica!
L’ unica cosa che combatterò sono questi stupidi ed arroganti politici nazionali ed europei che ci hanno condotto dritti dritti in un vicolo cieco da cui non sanno come uscirne. E adesso tentano la fuga in avanti, pensando di intimidirci con informazioni fasulle e con proposte di difesa da chi poi non si sa ancora bene, implorando l’ aiuto del popolo. Stanno preparando inconsciamente la III Guerra Mondiale per rendersi conto, fra quindici anni, di aver fatto un errore. Non continuiamo a farci prendere per i fondelli.
War del lyen, vai tu a combattere se non sei capace di mettere in atto la diplomazia ma solo provocare guerre … è necessario e urgente togliere i propri soldi dai fondi di investimento che finanziano le guerre!