Alla sua prima giornata di quotazione sul Nasdaq, la società American Bitcoin (ticker ABTC), creata da Eric Trump e Donald Trump Jr., ha visto il trading sospeso per ben cinque volte a causa di brusche fluttuazioni di prezzo. Le azioni sono schizzate fino a un +85%, raggiungendo circa 14 dollari per azione, per poi ritirarsi intorno a 9,80 dollari al momento della ripresa delle contrattazioni. Questo debutto estremamente volatile ha spinto la Borsa a fermare il processo di compravendita diverse volte solo nella prima ora di scambi. Al momento della chiusura, il titolo ha comunque chiuso con un guadagno significativo di circa il 16-17%, segnalando tanto entusiasmo quanto fragilità strutturale. Questa successione di stop-trade è sintomatica: da un lato l’alto mostra l’interesse speculativo e l’attenzione di Wall Street verso il settore crypto in maturazione, dall’altro l’instabilità di un asset che è insieme simbolo politico e prodotto finanziario. Il debutto caotico ha acceso dubbi sulla solidità dell’iniziativa e sui rischi di speculazione, mentre la visibilità resta amplificata dal “marchio Trump”, che mantiene un fascino indiscutibile nei circuiti globali e tra certi investitori.
La nascita di American Bitcoin può essere fatta risalire alla primavera del 2025, come spin-off da attività nel settore delle infrastrutture digitali, ma le sue radici affondano in una serie di incontri informali e articolati. Tutto è cominciato intorno a fine 2024, quando Eric Trump e alcuni dirigenti di alto profilo del settore energia e mining di Hut 8 si ritrovarono a bordo campo del Trump Golf Club di Jupiter, in Florida, a discutere del potenziale di un’alleanza per il mining di bitcoin. Quel confronto informale divenne l’incubatore di una nuova realtà: una società creata per trasformare visione e know-how in un progetto minerario concreto, fondata formalmente il 1º aprile. La struttura del gruppo riflette un preciso quadro societario: l’80% è controllato da Hut 8, di cui il CEO Asher Genoot è il maggiore investitore, mentre il restante 20% è detenuto dalla famiglia Trump e dai precedenti soci di American Data Centers, la loro precedente impresa tecnologica. Eric Trump, oltre che cofondatore è il responsabile della strategia aziendale ed è diventato miliardario dopo che le azioni di American Bitcoin, sono schizzate alle stelle al debutto in Borsa. Il suo ruolo consiste, tra l’altro, nel trasformare capitali e notorietà in opportunità d’investimento, grazie sia a una rete di contatti globali, sia all’appeal narrativo legato al progetto e al cognome “Trump”.
La struttura operativa non riguarda solo il capitale: sin dal lancio, l’azienda ha puntato su tre linee di azione integrate. La prima sfrutta gli impianti di mining, situati in zone con energia a buon costo, per produrre bitcoin a costi inferiori rispetto all’acquisto sul mercato. L’impegno economico è, infatti, enorme: oltre alle infrastrutture, l’azienda deve sostenere costi operativi elevati per garantire efficienza e sicurezza. A maggio, il presidente ha firmato un ordine esecutivo per promuovere l’espansione dell’energia nucleare negli Stati Uniti, il che rappresenterebbe una agevolazione per i centri dati di ogni tipo. In parallelo, la società usa i profitti per accumulare una riserva di bitcoin considerata patrimonio strategico. In questo modo, non si limita a produrre criptovaluta, ma si propone anche come custode di un asset percepito come “oro digitale“, diversificando i ricavi tra estrazione e apprezzamento di mercato. Infine, pianifica un’espansione che tocchi settori legati all’ecosistema bitcoin, mirando a diventare una piattaforma solida e strutturata. Il modello di business poggia su solide fondamenta industriali: impianti aperti sul territorio americano e canadese, con capacità energetiche che superano il gigawatt, e un parco macchine all’avanguardia. American Bitcoin ha, infatti, ereditato una vasta flotta di dispositivi ASIC (Application Specific Integrated Circuit, macchine essenziali per estrarre bitcoin e criptovalute), oltre a diritti contrattuali per ulteriori decine di migliaia di macchine in arrivo. Questo conferisce al gruppo una posizione operativa imponente, con un potenziale di generazione significativamente superiore a molte aziende pure-play, che si concentrano su un unico settore, evitando la diversificazione. Se nel primo trimestre di attività, aveva già prodotto 215 bitcoin e raccolto capitali importanti, in un documento depositato presso la SEC nel settembre 2025, la società ha dichiarato di possedere 2.443 bitcoin, per un valore di circa 269 milioni di dollari.
Questa impostazione differenzia American Bitcoin da meme coin e stablecoin “politici” (come quelli legati al nome Trump o al governo argentino di Javier Milei), che si reggono sull’hype, ossia sull’eccitazione e sull’interesse speculativo rapido intorno all’attività di mining: queste esperienze hanno mostrato come i cosiddetti meme coin siano spesso assimilabili a oggetti digitali da collezione, scarsamente regolamentati, più utili a operazioni di immagine e a dinamiche speculative che a costruire ecosistemi economici solidi. In American Bitcoin, invece, c’è un approccio industriale fatto di impianti tecnologici, consumo energetico, personale qualificato, logistica e un’infrastruttura che punta a consolidarsi tra i grandi operatori globali, seppur esposta alla volatilità tipica del settore. Sebbene Eric Trump abbia respinto come “folli” le accuse sul conflitto di interessi, la dimensione politica resta centrale. Insieme alle precedenti azioni crypto dei Trump, che includono un meme coin, una stablecoin e un investimento di tesoreria in bitcoin di 2,5 miliardi di dollari per Trump Media & Technology Group, American Bitcoin sta contribuendo a consolidare ulteriormente l’influenza della famiglia su questo ecosistema finanziario in crescita e sempre più legato a istituzioni e governi. La società si inserisce in questa strategia multilivello, dove solidità operativa e visibilità politica si intrecciano. Se il mining rappresenta la parte “marginale” e meno glamour delle criptovalute, il legame con la presidenza lo trasforma in un progetto simbolico. La differenza con i token effimeri è evidente, ma il confine tra impresa e propaganda resta labile. È in questa zona grigia che si gioca il futuro di American Bitcoin: un progetto che si presenta come industriale e operativo, ma che porta con sé le stesse dinamiche di volatilità, speculazione politica e spettacolarizzazione che hanno contraddistinto – suppure su basi diverse – l’epoca delle monete meme.
Ci vedo un filo di conflitto di interessi… ma forse sono solo un complottista