Dovremmo dedicare un giorno ogni tanto a sospendere qualsiasi commento, a esercitare il silenzio stampa delle nostre reazioni, punendo così chi ci provoca, chi offende, chi vanta pretese infondate, chi insinua, chi fraintende volontariamente, chi non perdona chi sbaglia, chi si sente nella ragione comunque.
Tacere. Silenzio. Non reagire. Muti i social. Teniamoci per noi i nostri giudizi. Una grande fatica. Ma sappiate che il male si alimenta del bene.
Il delinquente che governa quel Paese del Medio Oriente e vuole cancellare chiunque decida, lui, l’Orrendo, lasciamolo senza nome, e così i suoi ministri, i suoi complici e i suoi alleati.
Silenzio, sino al giorno che non sappiamo, quando la voce della giustizia gli lascerà l’amaro in bocca. Quando il silenzio predicato dal Talmud gli aprirà le porte della preghiera, della volontà di Dio. E capirà nella solitudine di avere crudelmente sbagliato.
Capisco che si tratta di un paradosso chiamare con le parole al silenzio. Ma bisogna pur ammettere che il vero silenzio è pieno di echi, di voci inascoltate, di espressioni giuste non dette, di rimpianti per non aver urlato le proprie ragioni.
Il silenzio è lo specchio del nostro io ignoto, è il volto di chi ci accompagna, è la preghiera sospesa.
Taciamo. Ma ragioniamo, come scriveva Massimo Baldini, sulla differenza fra parole parlanti e parole parlate. Le prime si contornano di silenzi, immaginano ma non pretendono risposte, contengono amore, verità, sensazioni, stimoli che moltiplicano i pensieri.
Le parole parlate invece riempiono inutilmente i social, insultano, blandiscono, sono sempre reazioni istintive, nervose, circuiscono, sfuggono, sembrano gesti più che frasi.
Non cadiamo dunque nella trappola delle parole parlate, ascoltiamo con curiosità le voci che arrivano nel silenzio. Il silenzio che dà senso, che sa ospitare ogni giusta ragione.