Emmanuel Macron ha ospitato a Parigi il nuovo vertice della “Coalizione dei Volenterosi”, presieduto insieme al premier britannico Keir Starmer a distanza, con trentacinque leader presenti di persona o collegati da remoto. Zelensky è tornato così nella capitale francese a meno di tre settimane dall’incontro multilaterale alla Casa Bianca. Sul tavolo, la definizione di garanzie di sicurezza postbelliche per l’Ucraina: 26 Paesi si sono impegnati a inviare truppe come forze di “rassicurazione” fin dal giorno successivo alla firma di un accordo di pace. A fronte di questa decisione collettiva di inviare contingenti pronti a presidiare il territorio ucraino, l’Italia – come anche la Polonia – ha ribadito la propria indisponibilità, mentre Berlino ha affermato che deciderà “a tempo debito”. Giorgia Meloni ha così confermato che l’Italia non invierà soldati, pur restando aperta a ruoli di monitoraggio, addestramento, cooperazione logistica, sostegno esterno oltre i confini ucraini. La premier ha nuovamente illustrato la proposta italiana di estendere all’Ucraina l’articolo 5 NATO, che prevede un intervento alleato se Kiev venisse di nuovo attaccata dopo la fine della guerra. Dopo la riunione dei Volenterosi, Meloni ha partecipato a un successivo collegamento telefonico con Trump, nel quale sono stati condivisi gli esiti della riunione.
Ursula von der Leyen ha parlato di un vertice “storico”, sottolineando come la sicurezza dell’Ucraina equivalga alla sicurezza dell’Europa. Macron ha riaffermato che “lasciare Kiev sola sarebbe un suicidio politico e morale”. Aprendo la 51esima edizione del Forum di Cernobbio, Zelensky ha ribadito che la Russia non vuole fermare la guerra e che è necessario costruire un “sistema di sicurezza” a livello terrestre, aereo e marittimo la difesa ucraina. Il vertice ha però messo in luce non soltanto le tensioni tra Stati membri, ma anche i contrasti transatlantici, evidenziando le linee di frattura: non tutti i governi hanno la stessa disponibilità a sacrificarsi e il concetto stesso di “volenterosi” rivela più un mosaico di interessi divergenti che un fronte compatto. Il messaggio è chiaro: la guerra è entrata in una fase che non riguarda solo i confini orientali, ma ridefinisce gli equilibri di potere del continente. Donald Trump, intervenuto da remoto, ha invitato i partner europei a smettere di acquistare petrolio russo, accusandoli di alimentare indirettamente il conflitto con le proprie importazioni energetiche. Ha promesso sostegno, ma senza impegni concreti: nessun annuncio di nuovi fondi, nessuna garanzia di ulteriori forniture militari, nessun passo avanti sul cessate il fuoco. Questo approccio pragmatico ha un duplice effetto: da un lato segnala che Washington resta un attore chiave, dall’altro evidenzia come la Casa Bianca non sia disposta a caricarsi sulle spalle l’intero peso della guerra. Gli europei sono chiamati a farsi garanti in prima persona della sicurezza di Kiev, ma senza strumenti né risorse adeguate. A complicare il quadro vi è la natura stessa del patto. Non si tratta di un accordo vincolante come quello previsto dall’articolo 5 della NATO, ma di una rete di impegni bilaterali e multilaterali, modulabili a seconda della volontà politica di ciascun Paese. La forza d’urto è dunque più retorica che sostanziale: una promessa che serve a rassicurare Kiev e, soprattutto, a lanciare un segnale a Mosca.
La replica non si è fatta attendere. Mosca ha definito il progetto di inviare truppe occidentali in Ucraina una “minaccia esistenziale”, avvertendo che qualsiasi presenza militare straniera sul territorio ucraino sarà considerata un “obiettivo legittimo”, spiegando che la Russia non accetterà mai un’Ucraina militarizzata e protetta da contingenti occidentali. Nella logica di Mosca, tale prospettiva equivarrebbe a un’invasione mascherata, legittimando nuove operazioni “difensive”. Parlando a Vladivostok all’Eastern Economic Forum, Putin ha chiarito che, se si potesse raggiungere un accordo di pace sull’Ucraina, non ci sarebbe bisogno di truppe straniere, “perché se si raggiungessero accordi, nessuno dubiti che la Russia li rispetterebbe pienamente”. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, in un’intervista al quotidiano russo Izvestia, ha accusato l’Europa di “continuare nei tentativi” di fare dell’Ucraina “il centro di tutto ciò che è anti-russo”. Così, l’intenzione dell’Occidente di blindare la pace si traduce nella possibilità di un conflitto permanente, dove la linea del fronte non sarà più solo ucraina, ma europea. A complicare ulteriormente il quadro è arrivato anche un gesto mediatico di Donald Trump: sul suo social Truth ha pubblicato due immagini enigmatiche, una con Putin e l’altra con velivoli militari americani, scattate ad Anchorage lo scorso Ferragosto. Dopo aver espresso delusione per l’escalation russa e aver lanciato un nuovo avvertimento, affermando che Washington è pronta a reagire se le decisioni del Cremlino sulla guerra in Ucraina non dovessero essere in linea con le aspettative americane, il tycoon ha così lasciato intendere, senza commenti, un monito a Mosca: pace sì, ma attraverso la forza.
Questi “volenterosi” sarebbe meglio chiamarli guerrafondai.