Se le squadre russe sono escluse da tutte le competizioni calcistiche internazionali e quelle israeliane no, è solo per motivi politici. Ad ammettere quanto già evidente da quasi due anni è lo stesso presidente della UEFA, la confederazione calcistica europea, Aleksander Ceferin. Ceferin ha detto di essere contrario all’esclusione delle squadre israeliane dalle coppe europee, prendendo in generale posizioni a favore degli atleti. Per la Russia, tuttavia, la questione è diversa: «Con la situazione in Russia e Ucraina, c’era una pressione politica molto forte», ha spiegato. Per Israele «è più una pressione della società civile che dei politici»; e «i politici sono molto pragmatici». L’esclusione delle squadre russe, insomma, è avvenuta su richiesta di organi extra-calcistici, e se lo stesso criterio non sta venendo applicato anche nei confronti di Israele, è perché quei medesimi organi non lo vogliono.
Le dichiarazioni di Ceferin sono arrivate in occasione di una intervista rilasciata al giornale statunitense Politico. Durante l’intervista sono stati affrontati diversi temi, tra cui quello dei legami tra sport e politica. In generale, Ceferin ha detto di essere contrario alla introduzione di questioni politiche all’interno del mondo del calcio. Secondo il presidente della UEFA, escludere gli atleti sarebbe sbagliato in ogni situazione. «Secondo me lo sport deve provare a indicare la via da percorrere, ma non impedendo agli atleti di competere», ha detto Ceferin. «Perché cosa può fare un atleta al proprio governo per fermare una guerra?». Il conflitto russo-ucraino sarebbe per il presidente della UEFA un buon esempio della scarsa utilità della pratica di esclusione degli atleti, perché la guerra va avanti da tre anni e mezzo nonostante le contromisure prese in ambito sportivo.
Nel corso dell’intervista Ceferin ha mostrato di avere una opinione molto solida riguardo alla separazione tra politica e sport. A tal proposito, ha parlato anche del caso dell’Ungheria, finita in mezzo alle polemiche quando la UEFA ha individuato nella Puskás Aréna di Budapest lo stadio dove disputare la finale della prossima Champions League: «Se pensate che assegneremo i concorsi solo a chi è in linea con la politica dominante, vi sbagliate». Anche perché, sottolinea il presidente, «non credo che coloro che criticano più aspramente [l’Ungheria] siano esattamente dei paladini dei diritti umani».
Nonostante le posizioni di Ceferin, gli atleti russi non possono competere con la propria nazionale e alle squadre del Paese è stata impedita la partecipazione alle competizioni europee. «Con la guerra tra Russia e Ucraina abbiamo avuto una reazione politica quasi isterica», ha spiegato Ceferin. «Siamo stati tra i primi ad agire, convinti che lo sport potesse contribuire a porre fine a questa tragedia. Purtroppo, la vita ci ha dimostrato il contrario». Ceferin ha spiegato che le motivazioni dietro l’esclusione della Russia e dei suoi atleti dalle competizioni internazionali risiedono proprio dietro questa “isteria” generalizzata del mondo politico; non è stata, insomma, una decisione interna alla federazione calcistica europea. Anzi, la UEFA avrebbe anche provato a permettere ai ragazzi sotto i 17 anni di tornare a competere nelle gare continentali: anche allora si è sollevata una «isteria politica». In tale situazione la politica ha «esercitato pressione su alcuni membri del comitato esecutivo»; non è riuscita, sostiene Ceferin, a fare cambiare loro idea, ma ha costretto i membri a chiedere alla confederazione di congelare l’iniziativa «perché erano attaccati privatamente e personalmente a tal punto, da non reggere più».
Ecco dunque che la domanda sull’eventuale esclusione delle squadre e degli atleti israeliani trova una risposta lineare: per la Russia, ha ribadito Ceferin, c’è stata una «fortissima pressione politica», mentre per Israele no. La mobilitazione civile, sottolinea il presidente, è ingente, ma non basta. «Ora c’è più una pressione della società civile che dei politici, e, quando si tratta di guerre, i politici sono ovviamente molto pragmatici. Non posso dire cosa succederà». È insomma il “pragmatismo” della politica a costituire la reale differenza tra Russia e Israele; quello stesso pragmatismo con cui da quasi due anni i politici europei si limitano a rilasciare dichiarazioni di circostanza sul genocidio palestinese, senza prendere reali contromisure per fermare i massacri. È il caso degli ultimi annunci, inaugurati da Macron, con cui diversi Paesi del “blocco Occidentale” si sono detti pronti a riconoscere uno Stato di Palestina senza tuttavia fare nulla perché esista davvero; lo Stato che vogliono riconoscere è infatti smilitarizzato e sottoposto a monitoraggio politico esterno.