Camminare su due gambe è la caratteristica che più di ogni altra distingue l’uomo: un tratto che Charles Darwin definiva “uno dei più cospicui dell’umanità”. Tuttavia, esistono varie teorie riguardanti il come si è arrivati a questo passaggio decisivo, e secondo un nuovo studio, guidato dal genetista dello sviluppo Terence Capellini dell’Università di Harvard, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Nature, esistono momenti chiave che hanno reso possibile il bipedismo. Analizzando lo sviluppo embrionale del bacino umano e confrontandolo con quello di primati e topi, i ricercatori hanno scoperto che il segreto si nasconderebbe nell’ileo, ovvero l’osso più grande del bacino. «È stato davvero sorprendente per noi», spiegano gli autori, aggiungendo che la sua crescita ha subito due trasformazioni radicali nel corso della storia e che questo capovolgimento dello sviluppo osseo non si osserva in nessun altro punto del corpo umano. Secondo la ricerca, quindi, esistono prove significative che contraddicono l’idea che il cambiamento sia avvenuto in modo graduale e lineare.

Fin dal XIX secolo si sapeva che il bipedismo era ciò che separava principalmente la nostra specie dalle altre scimmie antropomorfe, ma rimaneva un mistero come l’anatomia del bacino si fosse trasformata. L’ileo – ossia la parte superiore e più ampia del bacino, che si percepisce toccandosi i fianchi – svolge un ruolo fondamentale perché sostiene i muscoli delle gambe e il pavimento pelvico, indispensabili sia per camminare sia per sorreggere gli organi interni. Tuttavia, spiegano gli esperti, per decenni non era chiaro come questo osso assumesse nell’uomo una forma a “ciotola”, corta e larga, così diversa da quella alta e stretta degli altri primati. Per rispondere, quindi, gli scienziati hanno usato approcci di biologia dello sviluppo e genomica funzionale: dalle scansioni tridimensionali di embrioni umani e animali alle analisi molecolari delle cellule che costruiscono l’osso, fino allo studio di embrioni di primati conservati in collezioni museali. Questo insieme di metodi, poi, ha permesso di ricostruire passo dopo passo l’origine delle trasformazioni che hanno reso l’ileo umano unico nel panorama evolutivo.
In particolare, i ricercatori spiegano di aver individuato due momenti chiave. Il primo riguarda la crescita della cartilagine dell’ileo: mentre nei topi e negli altri primati le cellule si organizzano lungo un asse verticale, negli embrioni umani il processo si capovolge e l’osso inizia a crescere perpendicolarmente, dando origine a una forma corta e larga. «Non è un processo graduale, è un capovolgimento completo», sottolineano gli autori. Il secondo passaggio, invece, si osserva più avanti, quando la cartilagine si trasforma in osso in un processo chiamato ossificazione. Negli esseri umani, a differenza delle altre specie, l’ileo non si ossifica al centro ma inizia dalla parte posteriore e si sviluppa lentamente lungo i bordi esterni, con un ritardo di circa 15 settimane rispetto al resto dello scheletro. Questo rallentamento, inoltre, avrebbe avuto un ruolo cruciale quando i nostri antenati hanno sviluppato cervelli più grandi, in quanto la nuova configurazione dell’ileo ha reso possibile un canale del parto più ampio e rotondo, riducendo i rischi correlati. Secondo il team di Harvard, si tratta di un insieme di innovazioni che non solo hanno permesso di camminare eretti, ma anche di affrontare le sfide legate alla nascita di neonati con teste sempre più voluminose: «Il bacino è essenziale per il nostro modo di camminare e di partorire, eppure fino a oggi se ne sapeva molto poco», osserva Capellini, ribadendo che queste scoperte gettano nuova luce su uno dei momenti più decisivi della nostra storia.