In seguito al deliberato attacco del 25 agosto all’ospedale Nasser, nel sud della Striscia di Gaza, in cui sono stati uccisi 5 giornalisti, il bilancio degli operatori dell’informazione uccisi dall’inizio del massacro in Palestina è di 197, secondo i dati del CPJ (Committee to Protect Journalist). Eppure, sulla base di quanto ricostruito dall’ufficio medico di Gaza, citato dall’emittente Al Jazeera, tale quota sarebbe addirittura livellata al ribasso: in tutto, i giornalisti uccisi sarebbero infatti almeno 273. Già un anno e mezzo fa quella israelo-palestinese era stata considerata la guerra più mortale di sempre per i cronisti, avendo superato ampiamente il bilancio delle uccisioni dei reporter negli altri conflitti del nostro secolo e di quello passato. Ma il dato, di giorno in giorno, non fa che peggiorare.
L’ultimo raid israeliano che, in ordine di tempo, ha preso di mira operatori dell’informazione, è quello che si è verificato ieri all’ospedale Nasser di Khan Younis, dove sono morte in tutto 20 persone. Tra queste, cinque erano giornalisti: sul colpo sono morti il fotografo Mohammed Salameh, i cameraman Moaz Abu Taha e Hossam al-Masri e la fotoreporter Mariam Abu Daqqa; successivamente, a causa delle ferite riportate, è deceduto anche il giornalista freelance palestinese Ahmed Abu Aziz. Il ministero ha dichiarato che le vittime sono state uccise al quarto piano dell’ospedale in un attacco “a doppio colpo”: un missile ha colpito prima, poi un altro pochi istanti dopo, mentre arrivavano le squadre di soccorso. Ieri sera, in un altro attacco a Khan Younis, le forze israeliane hanno inoltre ucciso il corrispondente palestinese Hassan Douhan, giornalista e accademico.
Lo scorso 10 agosto, altri cinque giornalisti palestinesi di Al Jazeera erano stati uccisi presso l’ospedale Al-Shifa di Gaza City. Tra le vittime, la più nota era la corrispondente Anas al-Sharif, di 28 anni, insieme a Mohammed Qreiqeh, e ai cameramen Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa. Quando sono stati colpiti, i reporter si trovavano in una tenda dedicata alla stampa accanto all’entrata principale dell’ospedale. I giornalisti impegnati a Gaza stanno infatti utilizzando gli ospedali come basi per seguire le storie delle persone ferite, di quelle che soffrono di malnutrizione e, ovviamente, di coloro che muoiono nei viaggi in ambulanza o all’interno dei nosocomi. Eppure, la mattanza dei civili perpetrata dalle forze israeliane non risparmia nemmeno loro.
Secondo il progetto Costs of War della Brown University, dal 7 ottobre 2023, data di inizio degli attacchi, a Gaza sono stati uccisi più giornalisti che nella guerra civile americana, nella prima e nella seconda guerra mondiale, nella guerra di Corea, nella guerra del Vietnam, nelle guerre nell’ex Jugoslavia e nella guerra in Afghanistan messe insieme. Secondo fonti diversificate, il 2024 è stato l’anno più mortale in assoluto per i giornalisti. In totale, stando alle statistiche della CPJ, l’anno scorso sono deceduti 78 operatori dell’informazione, mentre nel 2025 le morti (almeno quelle confermate) sarebbero 34. Reporter Senza Frontiere (RSF), che accusa l’esercito israeliano di crimini di guerra contro i giornalisti nella Striscia di Gaza, si è unita all’appello di oltre 180 organizzazioni internazionali per la sospensione dell’accordo commerciale tra l’Unione Europea (UE) e Tel Aviv. L’istanza cita la flagrante violazione da parte di Israele dei suoi impegni in materia di diritti umani nella Striscia di Gaza.
Dal 7 ottobre 2023 le autorità israeliane impediscono l’accesso indipendente della maggior parte dei giornalisti stranieri nella Striscia di Gaza: la regola pratica è che i pochi corrispondenti cui viene permesso di entrare devono farlo sotto scorta militare israeliana o con permessi eccezionali, mentre l’ingresso indipendente e non accompagnato è stato negato per mesi. Numerosi organismi per la libertà di stampa e grandi agenzie hanno lanciato appelli e denunce: il Committee to Protect Journalists e un’ampia coalizione di testate hanno chiesto «accesso immediato, indipendente e illimitato» a Gaza. Eppure, ciò non ha impedito a Tel Aviv di invitare dieci influencer internazionali nella Striscia al fine di promuovere la propaganda a proprio favore. Tutti gli influencer arrivati a Gaza stanno diffondendo sulle proprie (seguitissime) pagine social vere e proprie fake news, affermando che gli aiuti per i palestinesi ci sono, ma che Hamas li ruberebbe per mangiare a volontà sotto i tunnel e vendere il cibo a prezzi elevatissimi in modo da finanziare l’acquisto di armi, mentre l’ONU non sarebbe intenzionato a distribuirli.