Si allarga e assume connotati a dir poco inquietanti l’inchiesta della magistratura sul carcere minorile Beccaria di Milano, rivelando un vasto sistema di presunti abusi ai danni dei giovani detenuti e di indicibili coperture. Con 42 indagati totali, tra cui tre ex direttori dell’istituto, agenti della polizia penitenziaria e operatori sanitari, l’ombra della violenza si estende su un’intera struttura, dove le sofferenze dei detenuti sarebbero state sistematicamente occultate da falsificazioni e omertà. A guidare le indagini i magistrati della Procura di Milano, che hanno richiesto l’incidente probatorio per raccogliere testimonianze cruciali di 33 vittime, all’epoca minorenni, e cristallizzare le loro dichiarazioni in vista di un possibile processo, in cui si ipotizza anche il reato di tortura.
Tra gli indagati spiccano i nomi di Cosima Buccoliero e Maria Vittoria Menenti, ex direttrici del Beccaria, accusate di aver omesso i loro doveri di controllo e vigilanza. Entrambe, insieme ad altri dirigenti e a tre operatori sanitari, sono accusate di non aver impedito i maltrattamenti e, anzi, di aver coperto le violenze perpetrate dai membri della polizia penitenziaria. Secondo gli inquirenti, infatti, «non esercitando i poteri di controllo, vigilanza, coordinamento agli stessi conferiti, omettevano di impedire le condotte reiterate violente e umilianti all’interno dell’Ipm Beccaria». Gli episodi di abuso sono descritti in dettaglio nelle carte dell’inchiesta. Nel periodo che va dal 2021 al 2024, i giovani detenuti sarebbero stati sottoposti a una serie di torture fisiche e psicologiche, con percosse, minacce e violenze sessuali. In un caso, un ragazzo di 16 anni, dopo aver tentato il suicidio, sarebbe stato picchiato con schiaffi e calci e successivamente rinchiuso in isolamento. In un altro episodio, un detenuto sarebbe stato ammanettato, picchiato e lasciato sanguinante nella cella di isolamento per dieci giorni, privo di cuscino, materasso e effetti personali. Più volte gruppi di agenti penitenziari prendevano di mira singoli detenuti, infliggendo loro brutali pestaggi. Uno degli aspetti più gravi dell’inchiesta riguarda i referti medici. Tre operatori sanitari sono accusati di aver redatto «referti falsi o concordati con gli agenti» per nascondere le lesioni subite dai detenuti. Questi medici e infermieri avrebbero anche assistito a molte delle aggressioni, senza mai intervenire o segnalarle. Le loro azioni sono descritte come una complicità che ha permesso a un clima di violenza sistematica di perdurare all’interno del carcere.
Le indagini, che si sono avvalse di intercettazioni telefoniche e di immagini provenienti dalle telecamere di sorveglianza interne, sono state avviate grazie alle denunce di psicologi, ex detenuti e familiari delle vittime. A far scattare le botte, raccontano le testimonianze, erano sovente motivi futili: tentativi di rivolta, lamentele, o anche il semplice non conformarsi all’ordine. Le aggressioni si consumavano spesso in stanze isolate, prive di telecamere, un ambiente perfetto per il perpetuarsi delle violenze. Le accuse formulate dai magistrati sono pesanti e vanno dalla tortura alle lesioni, dal falso alle violenze sessuali. La vicenda ha sollevato forti polemiche e indignazione, non solo per l’entità delle violenze, ma anche per l’incapacità (o peggio la complicità) delle autorità preposte alla gestione dell’istituto rispetto a tali azioni efferate.
Già nel 2024 erano stati contestati a decine di agenti penitenziari impiegati al Beccaria di Milano reati quali maltrattamenti, concorso in tortura e tentata violenza sessuale, con la disposizione per 13 di essi della custodia cautelare in carcere. A dare il via alle indagini erano state alcune segnalazioni, presentate anche dal Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, ma anche le intercettazioni avvenute all’interno del carcere e le immagini delle telecamere di sorveglianza. L’istituto Beccaria di Milano era salito agli onori della cronaca nel dicembre del 2022, quando sette giovani erano riusciti a evadere dalla struttura. Già in quell’occasione erano emerse le forti problematiche interne all’istituto. Nonostante per anni sia stato considerato un modello assoluto da seguire in tutta Italia, le criticità al suo interno, da tempo denunciate dall’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, sono numerose. Si tratta delle stesse che riguardano pressoché la totalità delle strutture carcerarie italiane: celle troppo piccole, sovraffollamento, mancanza di personale, carenza di attività rieducative efficaci.