domenica 10 Agosto 2025

Sono stati sviluppati i primi robot con metabolismo meccanico

Non più solo intelligenti: ora sembra che i robot possano anche “crescere”, adattarsi e persino “guarire”. È quanto emerge da un nuovo studio condotto dai ricercatori della Columbia University, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances. Utilizzando una barra magnetica ispirata ai giochi di costruzione che può autoassemblarsi in strutture complesse e potenziarsi da sola, gli autori hanno annunciato lo sviluppo dei primi robot capaci di trasformarsi fisicamente, grazie a un processo definito “metabolismo meccanico” o “metabolismo robot”. Il tutto, inoltre, grazie al fatto che i coautori hanno dimostrato to come sia possibile costruire macchine in grado di assorbire e riutilizzare parti provenienti dall’ambiente o da altri robot per migliorare le proprie prestazioni. «La vera autonomia significa che i robot non devono solo pensare con la propria testa, ma anche sostenersi fisicamente», spiega il coautore Philippe Martin Wyder, aggiungendo che questa capacità potrebbe aprire la strada a ecologie robotiche autonome, pronte ad affrontare ambienti ostili senza intervento umano.

Fino a oggi, spiegano gli esperti, i robot hanno compiuto enormi progressi nelle loro “menti”, grazie a intelligenza artificiale e apprendimento automatico. D’altra parte, però, i loro corpi sono rimasti sostanzialmente rigidi, inerti e totalmente dipendenti dagli esseri umani per ogni riparazione, aggiornamento o adattamento. A differenza degli organismi biologici, infatti, i robot tradizionali non possono evolversi fisicamente e, se si rompe un pezzo occorre l’intervento umano, mentre se serve una modifica bisogna sostituire persino intere componenti in fabbrica. Per superare questo limite, quindi, i ricercatori del laboratorio Creative Machines della Columbia University hanno cercato ispirazione dalla natura, dove ogni essere vivente cresce, si adatta e si ripara usando moduli biologici fondamentali. Il risultato, spiegano, è un nuovo paradigma chiamato “Robot Metabolism”, in cui ogni robot è pensato come un sistema modulare capace di integrare elementi esterni come fossero amminoacidi biologici. «Alla fine, dovremo far sì che i robot facciano lo stesso: imparare a utilizzare e riutilizzare parti di altri robot», sottolinea Hod Lipson, direttore del laboratorio e coautore dello studio

In particolare, la dimostrazione pratica di questo concetto è avvenuta con il Truss Link, ovvero un elemento semplice ma straordinariamente versatile: si tratta di una barra dotata di connettori magnetici flessibili, capaci di espandersi, contrarsi e agganciarsi tra loro in molteplici configurazioni. I ricercatori hanno mostrato come questi moduli possano autoassemblarsi in forme bidimensionali e successivamente trasformarsi in robot tridimensionali. Ma non solo: una volta formate, le strutture robotiche possono evolversi, modificando la propria architettura per adattarsi all’ambiente. In un caso descritto nello studio, per esempio, un robot a forma di tetraedro ha sviluppato un ulteriore collegamento, simile a un bastone da passeggio, che gli ha permesso di scendere da un pendio con una velocità aumentata del 66,5%. Questo, secondo Wyder, dimostrerebbe che il metabolismo robotico «fornisce un’interfaccia digitale con il mondo fisico e consente all’IA di progredire non solo cognitivamente, ma anche fisicamente, creando una dimensione di autonomia completamente nuova». Le applicazioni future, concludono gli autori, potrebbero riguardare ambiti estremi, come l’esplorazione spaziale o il recupero in scenari di disastro, dove i robot devono operare senza manutenzione umana: «Alla fine non possiamo contare sugli esseri umani per prenderci cura dei robot. Devono imparare a prendersi cura di se stessi», conclude Hod Lipson.

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Roberto Demaio

Laureato alla facoltà di Matematica pura ed applicata dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Autore del libro-inchiesta Covid. Diamo i numeri?. Per L’Indipendente si occupa principalmente di scienza, ambiente e tecnologia.

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