martedì 5 Agosto 2025

Entro il 2030 la Polonia avrà più carri armati di Germania, Francia, UK e Italia messi insieme

Con un accordo miliardario firmato il 1° agosto a Gliwice, nel cuore industriale della Slesia, la Polonia ha ufficialmente imboccato la strada per diventare, entro il 2030, la prima potenza corazzata d’Europa. Forte dell’intesa siglata con la Corea del Sud per l’acquisto di 180 carri armati K2 Black Panther e 81 veicoli blindati di supporto progettati dalla Hyundai Rotem, Varsavia si prepara ad affermare la propria centralità strategica nel continente, rafforzando il ruolo di gendarme atlantico dell’Est. E lo fa con numeri che parlano da soli: 1.100 carri armati operativi, più di quelli posseduti da Regno Unito, Francia, Germania e Italia messi insieme (un totale di 950). Solo due Stati membri della NATO – Grecia e Turchia – avranno più carri armati della Polonia una volta che l’accordo con la Corea del Sud sarà concluso: la Turchia ne possiede attualmente 2238, la Grecia 1344.

Il contratto da oltre 6 miliardi di euro rappresenta l’ultima tappa di un processo di maxi-riarmo iniziato nel 2022. Già allora Varsavia aveva stipulato un precedente accordo con Seul da 3,4 miliardi di dollari per l’acquisto di lanciatori d’artiglieria a razzo K239 Chunmoo, aerei da combattimento leggeri FA-50 e obici semoventi K9. Il nuovo accordo – che prevede forniture a ritmo serrato, dal 2026 al 2030 – include 81 veicoli di supporto, formazione logistica, un programma completo di assistenza e riparazione e una clausola di trasferimento tecnologico. Gli ultimi 61 tank saranno assemblati direttamente in Polonia, nello stabilimento Bumar Łabędy di Gliwice, rilanciando così anche l’industria nazionale della difesa. 

«È un grande affare per la sicurezza della nostra patria, per la nostra industria bellica. L’accordo avvia il processo di ripristino della produzione di carri armati nel nostro Paese», ha scritto su X il vicepremier e ministro della Difesa Władysław Kosiniak-Kamysz, sottolineando l’importanza simbolica della data di firma dell’intesa, l’81° anniversario della Rivolta di Varsavia

La scelta della Polonia di puntare su fornitori non europei – Corea del Sud e Stati Uniti in testa – non è soltanto tecnica, ma geopolitica. Mentre Bruxelles cerca di rafforzare l’autonomia strategica dell’UE attraverso iniziative come ReArm Europe, Varsavia guarda altrove. In pochi anni, ha acquistato non solo tank K2, ma anche carri armati M1 Abrams, elicotteri Apache, lanciarazzi HIMARS e sistemi antimissilistici Patriot dagli Stati Uniti, ponendosi come un “alleato modello della NATO”, secondo il segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth

Questa politica di approvvigionamento bellico esterno riflette una linea chiara: l’ancoraggio della sicurezza polacca non è l’Unione Europea, ma l’Alleanza Atlantica. È a Washington, non a Bruxelles, che Varsavia guarda quando si tratta di definire i propri paradigmi difensivi. Un paradosso se si pensa che la Polonia, con una spesa militare pari al 4,7% del PIL (35 miliardi di euro) – la quota più alta tra i Paesi della NATO – è oggi il maggior investitore in Difesa in Europa in rapporto alla ricchezza nazionale

Il riarmo polacco non si limita alla modernizzazione dell’apparato militare: sta trasformando in profondità anche la società. In un contesto di crescente tensione geopolitica, il governo ha avviato una profonda riforma educativa con l’introduzione di programmi scolastici di preparazione alla difesa, che includono corsi di addestramento militare, orientamento alla sicurezza nazionale e alfabetizzazione strategica. Già dalle scuole superiori si diffonde un approccio “pre-bellico” all’educazione, pensato per preparare i giovani a un potenziale conflitto su larga scala.

Parallelamente, in un clima da assedio permanente, la mobilitazione civile assume connotati sempre più marcati: la retorica antirussa pervade il dibattito pubblico e il giornalismo mainstream, mentre il volontariato territoriale e le esercitazioni delle forze di difesa locali vengono incentivate e normalizzate. Il Paese alimenta un’identità collettiva fondata sulla minaccia costante dell’aggressione esterna, in particolare da parte di Mosca, costruendo un’immagine di “fortezza” dell’Occidente ai confini dell’Orso russo. «Dobbiamo sempre investire e ricordare che Putin o un altro dittatore potrebbero arrivare e minacciare la nostra sicurezza. Non finirà mai», aveva dichiarato a febbraio, nella conferenza stampa a fianco del capo del Pentagono Hegseth, Wladyslaw Kosiniak-Kamysz, esortando l’Europa a svegliarsi. 

A determinare questa accelerazione del riarmo non è solo la guerra in Ucraina e la crisi al confine con la Bielorussia, ma anche la memoria storica di un Paese vulnerabile alla pressione delle potenze esterne. La geografia polacca – un vasto bassopiano privo di barriere naturali – ha favorito, nel XX secolo, sia l’avanzata della Wehrmacht nel 1939 sia quella dell’Armata Rossa nel 1944-1945. Da qui l’adozione di una dottrina difensiva basata sul controllo aggressivo del fronte terrestre tramite la superiorità corazzata. La lezione del passato è oggi rilanciata in chiave moderna: deterrenza non più solo come difesa, ma come proiezione d’influenza e, dunque, di potenza. La Polonia punta a presidiare ogni accesso al proprio territorio, diventando uno snodo cruciale dell’interoperabilità NATO e un soggetto centrale nel dispositivo di contenimento del rischio russo. Il riarmo non è più strumento, ma fine: parte di una strategia strutturale volta a consolidare l’agenda russofoba del governo, guidato dal centrista Donald Tusk. 

La Polonia, oggi, non è solo un attore emergente sulla scacchiera europea. È il volto nuovo di un continente che, tra memoria storica, timori contemporanei e ambizioni di potenza, si prepara a ridefinire il proprio destino entro la fine del decennio.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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