martedì 5 Agosto 2025

Caso Almasri: archiviazione per Meloni, ma due ministri rischiano il processo

Archiviata la premier Meloni, mentre tre uomini della compagine di governo, tra cui due ministri, rischiano di finire alla sbarra per peculato e favoreggiamento. Sono queste le risultanze dell’indagine del Tribunale dei ministri sul caso Almasri, torturatore capo della polizia giudiziaria libica arrestato in Italia lo scorso gennaio e frettolosamente liberato e rimpatriato a Tripoli su un aereo dei servizi segreti italiani. A darne notizia è direttamente il Presidente del Consiglio in un comunicato: «I giudici hanno archiviato la mia sola posizione, mentre dal decreto desumo che verrà chiesta l’autorizzazione a procedere nei confronti dei Ministri Piantedosi e Nordio e del Sottosegretario Mantovano», scrive Meloni. La quale però rivendica l’operato sulla vicenda, affermando di avere agito in maniera coesa con i ministri e il sottosegretario e attaccando apertamente i magistrati.

«Gli elementi acquisiti nel corso delle indagini non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna, limitatamente alla posizione della sola Presidente del Consiglio Giorgia Meloni», mette nero su bianco il Tribunale dei ministri, poiché non esistono prove di una sua «reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato (…) con le attività poste in essere dagli altri concorrenti». «Nel decreto si sostiene che io “non sia stata preventivamente informata e (non) abbia condiviso la decisione assunta”: e in tal modo non avrei rafforzato “il programma criminoso” – scrive la premier -. Si sostiene pertanto che due autorevoli Ministri e il sottosegretario da me delegato all’intelligence abbiano agito su una vicenda così seria senza aver condiviso con me le decisioni assunte. È una tesi palesemente assurda». Nello specifico, il Tribunale dei ministri aveva aperto un’inchiesta sulla mancata consegna di Almasri alla Corte penale internazionale da parte del governo italiano in seguito alla denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti. «A differenza di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari» (qui la stilettata di Meloni è diretta a Giuseppe Conte ed è riferita al caso Open Arms), «rivendico che questo governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro».

La vicenda è salita alle cronache nazionali negli ultimi mesi. Almasri, soprannominato «il torturatore di Tripoli» dalle organizzazioni che investigano la situazione dei migranti in Libia, si trovava a Torino quando, lo scorso 19 gennaio, è stato arrestato dalle forze dell’ordine italiane su segnalazione dell’Interpol. Su di lui pendeva un ordine di arresto segreto della Corte Penale Internazionale (CPI) con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità, principalmente per quanto accade all’interno delle carceri libiche. La Corte d’Appello di Roma ha però giudicato «irrituale» l’operazione, sostenendo che la polizia italiana non avesse l’autorità per agire, come prevedono le norme sulla cooperazione con la Corte dell’Aia, senza una preventiva autorizzazione del ministro della Giustizia. Il ministro della giustizia Nordio, a quel punto, avrebbe potuto sanare la situazione dando l’autorizzazione per convalidare l’arresto, ma non è intervenuto. In un informativa al Parlamento, Nordio si è difeso dicendo che il mandato è «arrivato in lingua inglese senza essere tradotto con una serie di criticità che avrebbero reso impossibile l’immediata adesione del ministero alla richiesta arrivata dalla Corte d’appello». Tra questa sorta di barriera linguistica, cui Nordio ha fatto più volte riferimento, e il «pasticcio» formale della CPI, il guardasigilli – almeno secondo la sua versione – avrebbe tardato nella lettura degli atti, che in ogni caso avrebbe giudicato «nulli». Così, Almasri è stato scarcerato, con il ministro dell’Interno Piantedosi che ha firmato un decreto di espulsione, dichiarandolo «soggetto pericoloso» e vietandogli l’ingresso in Italia per 15 anni. Almasri è stato quindi riportato in Libia su un aereo dei servizi segreti italiani.

Anche Piantedosi ha riferito al Parlamento sulla vicenda, facendo riferimento a vaghe questioni di sicurezza e ordine pubblico, ma affermando verso la fine dell’intervento «sì è reso necessario agire rapidamente per i profili di pericolosità riconducibili al soggetto e per i rischi che la sua permanenza in Italia avrebbe comportato soprattutto con riguardo a valutazioni concernenti la sicurezza dei cittadini italiani e la sicurezza degli interessi del nostro Paese all’estero in scenari di rilevante valore strategico, ma al contempo di enormi complessità e delicatezza». Ammettendo dunque indirettamente che i rapporti tra Italia e Libia sono troppo «rilevanti» per venire minati. Effettivamente, il legame tra Italia e Libia è oggi molto stretto: Tripoli è tornata a essere il principale fornitore di petrolio per il nostro Paese, mentre il volume degli scambi commerciali è triplicato negli ultimi anni. Secondo la Camera di Commercio Italo-Libica, l’Italia è attualmente il primo importatore e il terzo esportatore nei confronti della Libia. Senza dimenticare il controverso Memorandum Italia-Libia sui flussi migratori, firmato nel 2017 e rinnovato ogni tre anni, che prevede il nostro Paese finanzi e equipaggi la guardia costiera libica per impedire alle imbarcazioni di migranti di lasciare il Paese nordafricano.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.

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