sabato 2 Agosto 2025

Il World Economic Forum ha truccato i dati per far sembrare la Brexit un fallimento

Il World Economic Forum (WEF) avrebbe manipolato i dati del proprio rapporto del 2017/2018 sulla competitività globale, che classifica i Paesi in base alla produttività e alla prosperità a lungo termine, con un preciso scopo politico: mostrare i BRICS più deboli e la Brexit come un fallimento. Non si sarebbe trattato di un errore metodologico, ma di un’alterazione consapevole dei dati per far apparire l’uscita del Regno Unito dall’UE una scelta sbagliata e al contempo per proteggere rapporti politici con alcuni Paesi, come l’India (pur facendo parte dei BRICS). Secondo quanto riportato da un’inchiesta pubblicata sul quotidiano britannico Telegraph, fu proprio il fondatore ed ex presidente del WEF, Klaus Schwab, ad ordinare che il Regno Unito non fosse mostrato in miglioramento nella classifica, nonostante i dati raccolti avrebbero comportato una scalata dal settimo al quarto posto, perché altrimenti quel progresso sarebbe stato «sfruttato dai sostenitori della Brexit».

La Brexit, all’epoca dei fatti approvata dai britannici in un referendum ma non ancora attuata, venne già bollata come una minaccia per la competitività britannica. L’uscita dall’Unione Europea doveva essere punita simbolicamente con un arretramento, anche solo apparente. Una scomunica digitale nei confronti del popolo britannico che aveva preferito lasciare l’Unione Europea.

Questa vicenda rivela la natura intrinsecamente narrativa (è lo stesso Schwab che ha dedicato un saggio al potere delle “narrazioni”), manipolatoria e ideologica degli strumenti economici dominanti, dove i dati venivano forgiati e branditi come armi per indirizzare le opinioni pubbliche e influenzare le politiche globali. Il PIL, le classifiche sulla competitività, gli indicatori di “prosperità” sono diventati strumenti per fabbricare consenso e normalizzare disuguaglianze, legittimando l’agenda delle élite globaliste. Non è un caso che lo stesso PIL sia stato più volte criticato da economisti eterodossi come indicatore inadeguato a misurare benessere reale. È uno specchio deformante che sorride ai grandi conglomerati multinazionali e strizza l’occhio ai diktat geopolitici occidentali. Non misura la sovranità, lo sviluppo umano, la distorsione delle diseguaglianze, ne la capacità di una nazione di garantirsi indipendenza energetica, alimentare e industriale, ma quanto si è conformi al modello neoliberista.

Ma non finisce qui. Come se si fosse rotto un incantesimo, tutta una serie di informazioni infamanti su Schwab sta emergendo alla luce del sole e le crepe, divenute voragini, stanno facendo traballare il suo impero dorato. Il Telegraph cita un informatore interno che ha fatto scattare un’indagine approfondita. Le manipolazioni non avrebbero riguardato solo il Regno Unito, ma anche altri Paesi: l’India, ad esempio, non doveva scendere di venti posizioni in classifica, perché ciò avrebbe potuto irritare il primo ministro Narendra Modi, compromettendo la sua partecipazione al Forum di Davos. «Dobbiamo proteggere le nostre relazioni con l’India prima di Davos 2019», avrebbe ordinato Schwab, a conferma che la classifica globale non era uno strumento oggettivo ma una leva di pressione geopolitica.

La caduta rovinosa di Schwab ha aperto un vaso di Pandora. Secondo quanto riportato dal quotidiano svizzero SonntagsZeitung e dal Berliner Zeitung, Schwab e la moglie Hilde sotto finiti sotto indagine a seguito a una lettera di alcuni whistleblower resa pubblica dal Wall Street Journal lo scorso aprile. I capi d’accusa riguardano presunte irregolarità finanziarie – spese esorbitanti sospette per oltre 836.000 sterline – manipolazioni di rapporti ufficiali e comportamenti inappropriati verso i dipendenti. Lo scorso anno, infatti, il Wall Street Journal aveva svelato casi di discriminazione, mobbing e abusi. Sotto la supervisione decennale di Schwab, il Forum di Davos avrebbe fatto proliferare un ambiente di lavoro tossico, ostile alle donne e alle persone afroamericane. 

Ad aprile, Schwab era stato costretto alle dimissioni precipitose, in una riunione straordinaria del board, dopo che il World Economic Forum aveva aperto un’indagine formale su lui. Una lettera anonima contenente gravi accuse di natura finanziaria ed etica a carico suo e della moglie, Hilde, inviata al Consiglio di amministrazione del Forum, denunciava un uso improprio delle risorse dell’organizzazione e una governance opaca. 

Il caso Schwab mostra come la verità sia diventata un dettaglio negoziabile, sacrificabile sull’altare degli obiettivi politici da parte del WEF, istituzionalizzando di contro la menzogna in difesa dello status quo. Schwab non ha solo piegato i dati, ma ha incarnato il volto di un’ideologia che considera la trasparenza una minaccia e la sovranità un ostacolo.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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