sabato 2 Agosto 2025

La cucina palestinese continua a resistere come il suo popolo: intervista a Mona Zahed

Mentre nella Striscia di Gaza si continua a morire di fame e i palestinesi in fila per ricevere gli aiuti umanitari vengono barbaramente uccisi, c’è chi ha deciso di scrivere un libro di cucina da dentro una tenda da campo. Una scelta apparentemente paradossale che però cela una scelta di riaffermare il diritto all’esistenza del popolo palestinese attraverso la propria cultura, e celebrarne allo stesso tempo la vita specialmente in un momento in cui la fame è utilizzata come un’arma di guerra. Si tratta di Mona Zahed, ed è una cuoca di Gaza che dopo aver visto la sua casa e la sua attività di ristorazione essere distrutte dalle bombe, ha continuato ad alimentare la sua passione per il cibo creando Tabkha: Recipes from Under the Rubble, un volume di ricette tradizionali palestinesi. L’abbiamo raggiunta per un’intervista, utile a spiegare non solo la cultura gazawi, ma anche l’attualità attraverso la lente del cibo. 

Oggi che la fame è utilizzata dal governo israeliano come arma di guerra, scrivere di cibo potrebbe sembrare irragionevole, ma, adottando un altro punto di vista, appare come un atto di resistenza. Esattamente come della terra, Israele si è appropriata anche della tradizione culinaria palestinese nel tentativo di creare delle proprie radici, un ladrocinio che ha fatto sì che i falafel, per esempio, siano diventati un piatto tipico della cucina kosher. Che si tratti di un vero e proprio saccheggio culturale lo si può sapere anche leggendo un libro pubblicato nel 1936 dalla Women’s International Zionist Organization dal titolo How to cook in Palestine. Nelle prime pagine del volume si legge: «Noi casalinghe dobbiamo lasciarci alle spalle le tradizioni culinarie europee che non si adattano al contesto palestinese. Dovremmo sposare a pieno la salutare cucina palestinese». Scrivere di cucina è dunque oggi un ulteriore modo per ribadire l’esistenza di un popolo e conoscere le ricette della tradizione culinaria palestinese è un tentativo di marginare la sottrazione che Israele opera ai danni della Palestina.

Come era la tua vita prima del 7 ottobre e com’è oggi dopo quasi due anni di guerra lanciata da Israele contro Gaza?

Prima dell’inizio del genocidio la mia vita era normale; io e mio marito avevamo un lavoro, una casa e i miei figli andavano a scuola e avevano una buona educazione. Avevamo tutto. Purtroppo, con la guerra, le nostre vite sono state sconvolte: io ho perso il mio lavoro, la farmacia di mio marito è stata completamente distrutta e non ci sono più scuole che possono frequentare i miei figli. Siamo stati sfollati per oltre un anno. In tutto, siamo già stati sfollati più di sei volte. Abbiamo vissuto per diversi mesi in una tenda: questi sono stati i giorni più duri. Purtroppo la sofferenza continua anche dopo il nostro ritorno a casa a causa della mancanza di numerosi servizi, della durezza del genocidio e a causa della fame.

Come è nata l’idea di scrivere un libro di ricette palestinesi?

L’idea è nata quando ho iniziato a realizzare una raccolta fondi per la mia famiglia su GoFundMe. Ho incontrato un’amica giapponese, anche lei chef, che si è offerta di aiutarmi a creare un libretto di ricette palestinesi, alcune delle quali vegetariane, da vendere come parte del sostegno alla nostra causa. Poi un’altra amica, un’artista fantastica finlandese che fa parte del team di Coffees for Gaza, mi ha aiutata a sviluppare ulteriormente l’idea facendo un libro con diverse ricette palestinesi e illustrazioni di vari artisti di tutto il mondo che volevano dare una mano alla mia famiglia e a molte altre famiglie di Gaza sostenute da Coffees for Gaza. Così ha preso vita il progetto che, grazie a Dio, è diventato realtà.

Le ricette presenti nel tuo libro risentono della scarsità di cibo dovuta all’occupazione israeliana?

Il libro include alcune varianti di ricette inventate a Gaza a causa delle difficili circostanze: sono fatte con ingredienti alternativi che si riescono ancora a trovare. Sono anche presenti metodi di cottura che i nostri antenati usavano in passato e diversi metodi di conservazione di cibo usati quando non c’erano i frigoriferi.

È possibile oggi a Gaza cucinare le tue ricette?

Ci sono alcune ricette che possono essere fatte ancora oggi nel pieno della carestia, come le lenticchie. Detto ciò, ci sono molti piatti che difficilmente possono essere cucinati a causa della chiusura dei valici e della mancanza di risorse. Viviamo nella fame da quattro mesi e non abbiamo accesso a molti cibi come la carne, la frutta, il formaggio, latticini, noci e dolci. Abbiamo dimenticato il sapore di queste cose.

Cosa rappresenta per te la cucina palestinese?

È la cucina di mio padre e di mio nonno ed è il patrimonio che ho ereditato. Amo cucinare: immagino di mischiare gli ingredienti e il loro sapore prima ancora di mettere le mani in pasta. La cucina palestinese è conosciuta per i suoi piatti deliziosi ed è parte della cucina levantina. Tutte le nostre ricette hanno un sapore particolare che compete con quello di molte altre tradizioni.

Che significato ha nella cultura palestinese l’arte della cucina?

Nel mio Paese cucinare è un’azione molto importante. In Palestina e in particolare a Gaza amiamo cucinare e mangiare: scoprirete che cuciniamo e mangiamo un sacco (a eccezione di questi tempi di carestia). Adoriamo offrire cibo agli ospiti in ogni occasione e abbiamo piatti speciali per particolari circostanze. Il cibo contraddistingue il nostro popolo. A Gaza preferiamo i piatti piccanti e quelli ricchi di spezie ed erbe. Per noi cucinare è davvero qualcosa di fondamentale.

Qual è il piatto più importante nella cucina palestinese?

Tutti i piatti sono importanti, ma credo che ci distinguiamo per i cibi sostanziosi e ricchi. Per esempio, durante i banchetti nuziali serviamo riso Qidra con carne come il pollo; durante l’henna party delle spose [festa organizzata per la sposa prima del matrimonio in cui le donne si decorano reciprocamente mani, braccia e piedi con una pasta di henné] o durante le celebrazioni del matrimonio serviamo la Sumaqqiya [piatto tipico a base di sommaco, cipolla, ceci, aglio, pasta di sesamo, pepe verde, peperoncino, sale, olio d’oliva, farina bianca e carne d’agnello]. Prima della genocidio il fine settimana era un momento di riposo per tutti e in quei giorni non si trovava una casa a Gaza che non profumasse di cibi deliziosi come la maqluba [piatto a base di riso, verdure, pollo e spezie], il maftool [un cous cous palestinese] o il fatteh [ricetta a base di ceci, yogurt e menta].

Condividi con noi una delle tue ricette?

Posso condividere una delle ricette per cui siamo famosi in Palestina: i falafel.

Ingredienti:

  • Mezzo chilo di ceci (mettere in ammollo per dieci ore);
  • Due grandi cipolle;
  • Quattro spicchi d’aglio;
  • Un mazzetto di prezzemolo;
  • Un peperone verde piccante;
  • Un mucchietto di aneto verde;
  1. Scolare i ceci, aggiungere tutti gli ingredienti e mescolare;
  2. Tritare il composto fino a ottenere una consistenza simile a quella della pasta;
  3. Aggiungere le seguenti spezie: un cucchiaio di sale, mezzo cucchiaio di cumino, mezzo cucchiaio di coriandolo macinato, mezzo cucchiaio di bicarbonato, tre cucchiai di semi di sesamo;
  4. Mescolare:
  5. Fare delle palline con l’impasto e friggerle in olio vegetale finché non sono dorate e croccanti;
  6. Servire con pane arabo o pane saj, patatine fritte, insalata e hummus a parte.
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Francesca Faccini

Laureata in Lettere presso l’Università di Bologna, si occupa principalmente di temi legati a cibo, ambiente, tecnologia e società.

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2 Commenti

  1. Leggere di piatti a base di carne, di agnello beh mi fa sentire meno in ansia per i crimini dei macellai israeliani. Perché in fondo in fondo questi ricevono il trattamento che loro destinano all’agnello o al pollo. Ogni giorno con numeri molto più grandi e pratiche molto più oscene milioni di mammiferi subiscono un trattamento che a confronto l’osceno genocidio di Gaza è una specie di parco giochi.
    Alla fine l’umanità fa proprio vomitare

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