La Commissione europea ha lasciato scadere il termine di due mesi e 10 giorni per presentare ricorso contro la storica sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso ormai noto come Pfizergate. Un dettaglio tutt’altro che tecnico, che apre scenari dirompenti sul piano politico, legale e morale. La sentenza, infatti, censura duramente l’opacità con cui la Commissione – e in particolare la presidente Ursula von der Leyen – ha gestito lo scambio dei famigerati SMS con Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer, durante il periodo più critico della pandemia. Uno scambio che precedette l’accordo colossale da 35 miliardi di euro per l’acquisto di 1,8 miliardi di dosi di vaccino.
A riportare la notizia è stato Politico, confermando che Bruxelles non ha impugnato la decisione entro i termini previsti, rendendola così definitiva. Il caso esplose nel 2021, quando Matina Stevis-Gridneff, una giornalista del New York Times, rese noto che von der Leyen e Bourla avevano avuto un contatto diretto, via messaggi di testo, nel pieno delle trattative. Da lì, la richiesta – apparentemente banale – di poter visionare quei messaggi. La risposta della Commissione fu sconcertante: i messaggi non esistono o, meglio, non sono stati conservati perché considerati «non documenti ufficiali». Una giustificazione che ha spinto la Corte di Giustizia a intervenire, bocciando senza appello la condotta della Commissione e ribadendo un principio fondamentale: se un messaggio contiene informazioni rilevanti per un processo decisionale pubblico, deve essere trattato come documento ufficiale, a prescindere dal mezzo utilizzato. La Corte ha accusato la Commissione di non aver fornito spiegazioni credibili sull’assenza dei documenti, di non averli cercati seriamente e, anzi, di aver fornito giustificazioni «contraddittorie» e «non plausibili». Una condotta che rivela, secondo i giudici, una negligenza istituzionale grave e potenzialmente dolosa.
All’inizio di luglio, von der Leyen si è trovata ad affrontare un voto di sfiducia al Parlamento europeo sul caso, promosso dall’eurodeputato rumeno Gheorghe Piperea. La mozione di censura si era trasformata in un’enorme resa dei conti tra i banchi dell’Eurocamera, ma di fatto è servita solo a misurare il grado di anestesia democratica e il cinismo che affligge l’UE. Ora, il fatto che la Commissione non abbia presentato ricorso rappresenta una resa silenziosa ma significativa, che conferma il peso politico della condanna e che suona come una ammissione implicita di colpa.
Cala così il sipario sullo scandalo Pfizergate, simbolo di una deriva tecnocratica che minaccia i fondamenti stessi della democrazia europea. Il mancato ricorso della Commissione non chiude il caso, lascia però, senza risposta le domande fondamentali: dove sono finiti quei messaggi e perché non sono stati conservati?
Passo dopo passo…