Quarantuno anni passati dietro le sbarre per un reato di cui si era sempre dichiarato innocente. La ricerca di un nemico pubblico e di un colpevole, la condanna politica, le pressioni americane e israeliane per tenerlo dietro le sbarre. I venticinque anni di richieste di scarcerazione respinte nonostante avrebbe potuto uscire di prigione già nel 1999. Questa la storia di Georges Ibrahim Abdallah, il libanese filo-palestinese considerato il detenuto più longevo nelle carceri francesi, che finalmente alle prime ore del mattino di oggi 25 luglio è stato scarcerato e verrà rimpatriato in Libano.
La sua storia ha inizio nel 1984, quando il giovane Abdallah si rifugia in un commissariato di Lione sostenendo di essere seguito dai servizi segreti israeliani del Mossad e di temere per la propria vita. In realtà, sulle sue tracce c’erano anche i servizi segreti francesi, che erano risaliti al suo nome dopo l’arresto di un uomo alla frontiera italo-jugoslava con 7 kg di esplosivo. Da quel giorno, Georges Abdallah non ha più conosciuto la libertà.
Nel 1986 viene condannato a quattro anni di detenzione per “associazione a delinquere”, “detenzione di armi ed esplosivi” e “uso di documenti falsi”. Georges Abdallah è, di fatto, un militante comunista libanese filo-palestinese. Attivo fin dall’età di 15 anni, inizialmente aderisce al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PLFP) e, negli anni ’80, contribuisce alla fondazione delle Frazioni Armate Rivoluzionarie Libanesi (FARL), un’organizzazione marxista e antimperialista impegnata nella liberazione della Palestina, che condurrà azioni di guerriglia in Medio Oriente e in Europa, in particolare in Francia. Nel 1982, il gruppo rivendica gli omicidi del tenente colonnello americano Charles R. Ray, avvenuto a gennaio, e di Yacov Bar Simantov, consigliere dell’ambasciata israeliana a Parigi. Sono gli anni della resistenza contro l’invasione del Sud del Libano da parte dell’esercito israeliano. Queste operazioni armate contro i due diplomatici fanno entrare la FARL nel panorama mediatico francese.
Agli Stati Uniti la condanna di Abdallah non basta. Vogliono trasformare il detenuto in un caso simbolico, dichiarare di aver catturato il nemico pubblico numero uno. L’ambasciata americana a Parigi si dichiara «sorpresa» per una pena giudicata troppo lieve. Un secondo processo si svolge nel 1987, con l’accusa di complicità negli omicidi di Ray e Simantov, in un clima di fortissima tensione. Media e autorità attribuiscono infatti alla FARL una serie di attentati avvenuti in Francia tra il 1985 e il 1986, costati la vita a 13 persone, nonostante Abdallah fosse già in prigione. Nel frattempo prende forma una campagna mediatica martellante contro il libanese: i giornalisti allineati al potere mirano a costruire la figura del nemico di Stato. Si parla dei tre fratelli di Georges, che sarebbero stati identificati durante gli attentati, sebbene si trovassero in Libano negli stessi giorni. Abdallah viene così descritto come il mandante degli attacchi e condannato all’ergastolo, nonostante l’assenza di prove concrete. La pena inflitta dal giudice supera di gran lunga la richiesta del pubblico ministero, che si era fermato a dieci anni. Ne ha scontati più del quadruplo.
I veri responsabili degli attentati — militanti filo-iraniani — furono identificati due mesi dopo la condanna all’ergastolo di Georges Abdallah. Abdallah non ha mai ammesso il proprio coinvolgimento nemmeno negli omicidi dei diplomatici. Ha però sempre rifiutato di condannarli, definendoli «atti di resistenza» contro «l’oppressione israeliana e americana», nel contesto della guerra civile libanese e dell’invasione israeliana del Libano meridionale nel 1978. Non ha mai rinunciato alle sue convinzioni. «È ormai ovvio che Abdallah è stato in parte condannato per ciò che non aveva fatto», riconoscerà anni dopo l’ex giudice antiterrorismo Alain Marsaud.
Georges Abdallah diventa così un prigioniero politico su mandato americano nelle carceri francesi. È detenuto a Lannemezan dagli anni ’80, nonostante sia liberabile dal 1999. Una libertà che gli è sempre stata negata per motivi politici: Abdallah è rimasto fermo nelle sue posizioni anti-imperialiste e ha rifiutato per tutta la vita di rinnegarle, nonostante la lunga reclusione.
Già nel 2013, in seguito all’ottava richiesta di rilascio presentata dai suoi avvocati, la giustizia francese aveva concesso a Georges Abdallah la libertà: mancava però l’ordine di espulsione che l’allora ministro dell’Interno, Manuel Valls, avrebbe dovuto firmare per permettergli finalmente di tornare a casa. Un carteggio rivelato anni dopo da WikiLeaks ha mostrato il tempestivo intervento statunitense che ha bloccato la scarcerazione: una telefonata di Hillary Clinton al ministro degli Esteri Laurent Fabius è bastata a fermare tutto e a far sprofondare Abdallah nell’oblio di altri dodici anni di prigione.
Anche nel 2024 il tribunale di esecuzione delle pene aveva autorizzato la libertà condizionale, a condizione che Abdallah lasciasse il territorio francese. Ma ancora una volta la decisione è stata annullata dall’appello del tribunale antiterrorismo di Parigi.
Nel febbraio 2025, la Corte si è dichiarata favorevole alla liberazione, chiedendo però un «sostanziale sforzo» per il risarcimento delle vittime. Abdallah rifiuta, restando fedele alla sua posizione di prigioniero politico. Il 19 giugno, l’avvocato fa comunque sapere che 16.000 euro sarebbero stati disponibili per le parti civili. La procura generale risponde che non è sufficiente e rilancia chiedendo una «forma di pentimento».
«La nozione di pentimento non esiste nel diritto francese», dichiara ai giornalisti Jean-Louis Chalanset, avvocato di Georges Abdallah, uscendo dall’aula. «Ho detto ai giudici: o lo rilasciate o lo condannate a morte». La corte si convince e comanda il rilascio con immediata espulsione in Libano, Paese pronto ad accoglierlo e che da anni ne chiede la liberazione. Georges Abdallah, 74 anni, ha così svuotato la sua cella, colma di quarant’anni di giornali e lettere dei sostenitori, e ha tolto dal muro la bandiera rossa di Che Guevara. Sarà trasferito con un aereo militare all’aeroporto di Roissy, da cui partirà su un volo diretto a Beirut.
L’avvocato di Abdallah teme che il suo assistito possa essere ucciso da un drone israeliano al ritorno in Libano. In ogni caso, aggiunge, se questo dovesse accadere «morirà libero a Beirut come resistente». Israele non ha preso posizione durante il procedimento legale, ma giovedì scorso, tramite l’ambasciata a Parigi, ha “deplorato” la decisione del tribunale: «Questi terroristi, nemici del mondo libero, dovrebbero passare la loro vita in prigione», si legge in un comunicato.
Intanto, mentre Tel Aviv prosegue la sua pulizia etnica a furia di massacri a Gaza, Georges Abdallah è libero. E non avendo mai rinnegato nulla, di certo non mancherà di continuare a dire apertamente chi, secondo lui, sono i veri terroristi.
Non conoscevo la storia di Georges Abdallah. Credo che al mondo ci siano poche persone come lui, che mantengono fede ai loro ideali sino a consumare la propria vita in prigione. Sono dei combattenti, e alcune persone ne hanno paura, così tanto da obbligare le istituzioni a modificare o meglio, raggirare le leggi per mantenerli in custodia detentiva.