«Si sono messi ad abbattere gli alberi di viale Romagna in pieno luglio. C’erano i turisti che guardavano perplessi e non capivano come fosse possibile». Così Giulia Gamberini descrive a L’Indipendente la scena che si è presentata davanti agli occhi di residenti e villeggianti la mattina di giovedì 17 luglio a Lido di Savio, quando il Comune di Ravenna, ignorando le proteste, ha dato il via all’abbattimento dei grandi pini che da oltre cinquant’anni costeggiano il viale principale di questa piccola località balneare.
All’alba, intorno alle sei, gli operai hanno iniziato a tagliare dieci pini su circa cinquanta, in un’area delimitata da transenne e presidiata da agenti della polizia locale e carabinieri. Intorno al cantiere, decine di manifestanti – residenti, turisti e attivisti ambientali – hanno cercato di fermare l’intervento. Alcuni bagnanti, increduli, riprendevano la scena con i cellulari.
Alla base di tutto c’è il progetto Parco Marittimo, avviato durante il mandato dell’allora sindaco Michele de Pascale – oggi presidente della Regione Emilia-Romagna – e definito «il più grande piano di riqualificazione con finalità turistiche e ambientali della storia della città». Un intervento dal costo complessivo di 17 milioni di euro, finanziato in gran parte con fondi del PNRR, che coinvolge tutti e nove i lidi ravennati. L’obiettivo: rifare le strade, creare nuovi parcheggi, piste ciclabili e vie di accesso alla spiaggia, con l’intento di promuovere il turismo, sempre più centrale nell’economia locale, spesso a discapito della tutela dell’ambiente.
A Lido di Savio la parte più impattante del progetto riguarda proprio viale Romagna, dove il Comune ha deciso di sostituire l’intera pavimentazione. Ma per farlo è necessario abbattere tutti i pini esistenti: fino a un anno fa erano circa settanta, alti e maestosi, che da decenni offrivano ombra e refrigerio durante i mesi più caldi.
Le proteste sono iniziate all’inizio del 2024 con la segnalazione di Italia Nostra, e sono cresciute con la nascita del comitato Salviamo i pini di Lido di Savio, che ha raccolto oltre 2.000 firme, coinvolgendo residenti e turisti. L’allora assessora ai Lavori Pubblici, Federica Del Conte, ha ribadito più volte che l’abbattimento non è stato deciso arbitrariamente, ma rappresenta una misura necessaria per motivi di sicurezza. Alcuni alberi – secondo i test di trazione commissionati dal Comune – risultavano infatti instabili e potenzialmente pericolosi.
Ma proprio quei test sono finiti al centro di un acceso scontro tecnico. Il comitato ha interpellato Lothar Wessolly, l’ingegnere tedesco che ha ideato il metodo di analisi, il quale ha definito «palesemente errata» l’interpretazione dei dati, sostenendo che erano stati applicati parametri climatici non idonei al contesto urbano.
Nel frattempo, grazie a due ricorsi al TAR dell’Emilia-Romagna, l’abbattimento era stato temporaneamente sospeso. Tuttavia, il tribunale ha infine respinto in via definitiva il ricorso del comitato, sbloccando di fatto l’intervento e permettendo la ripresa dei lavori a luglio.
La procedura – secondo molti attivisti – appare diabolica: «In pratica – spiega Giulia Gamberini, da sempre in prima linea nella protesta – vogliono cambiare la pavimentazione, ma non possono farlo perché sotto ci sono le radici degli alberi. Allora effettuano i test di trazione dopo aver rimosso l’asfalto attorno, ma in questo modo le radici si indeboliscono, i pini sembrano meno stabili e vengono dichiarati pericolosi. A quel punto li abbattono e il progetto può proseguire».
Dei 70 pini iniziali, ne restano ora circa 40. Di questi, cinque hanno già subito le prove di trazione: dopo la rimozione della pavimentazione, le radici sono state ricoperte con catrame, in attesa dell’abbattimento definitivo.
Nel tratto di strada dove gli alberi sono già stati eliminati, al loro posto sono stati piantati dei piccoli frassini, più facili da gestire. «Cresceranno», assicurano dal Comune. Intanto, però, il colpo d’occhio è impietoso: da un lato svettano ancora maestosi pini alti diversi metri, dall’altro si allineano timidi alberelli appena piantati, destinati a impiegare anni prima di raggiungere dimensioni comparabili.
Una scelta che ricorda da vicino l’operazione di greenwashing portata avanti dal vicino Comune di Bologna, dove si sta assistendo all’abbattimento degli alberi in uno dei pochi spazi verdi della zona universitaria, mentre in piazza Nettuno comparivano in sostituzione degli alberelli in vaso. Il tutto in una regione, l’Emilia-Romagna, che avrebbe invece urgente bisogno di aumentare gli spazi verdi: non solo per ridurre gli effetti del caldo torrido, ma anche per proteggersi dalle alluvioni che hanno colpito il territorio negli ultimi due anni.
La direzione intrapresa dagli amministratori locali e regionali sembra però andare verso l’esatto opposto. Lo dimostrano i dati sul consumo di suolo, che collocano l’Emilia-Romagna stabilmente tra le regioni in cui si costruisce di più in Italia. La cementificazione avanza, insomma, a pieno ritmo. E piazzare qua e là qualche figurina verde nella speranza che basti a proteggere il territorio dai disastri ambientali provocati dal cambiamento climatico appare sempre più come una fragile illusione.