L’equazione fiscale italiana appare sempre più squilibrata: da un lato le grandi aziende e i grandi patrimoni sono responsabili di una consistente quota di evasione, dall’altro sono le piccole e medie imprese (PMI) ad essere sottoposte in maniera più pervasiva ai massicci controlli dall’Agenzia delle Entrate. Come attestato da un recente rapporto pubblicato dal Centro studi di Unimpresa, nel 2024, su 189.578 accertamenti ordinari avviati, ben 81.027 – ossia il 43% – riguardano le PMI, mentre solo 1.677 (0,9%) hanno interessato i grandi contribuenti. I quali, come dimostrano i dati acquisiti direttamente dai database dell’Agenzia delle Entrate, generano però un’evasione assai più significativa.
La frammentazione del quadro emerge chiaramente: le piccole imprese hanno subito 73.056 accertamenti (38,5% del totale), che hanno generato una maggiore imposta accertata di 5.115 milioni di euro, ovvero il 35,9% dei 14,2 miliardi complessivi. Le medie aziende sono state sottoposte a 7.971 ispezioni (4,2%), con un’imposta accertata di 3.983 milioni (28%). I grandi contribuenti hanno subito molti meno controlli – non si arriva nemmeno all’1% del totale –, ma l’imposta loro accertata è stata di 3.181 milioni (22,4%). Se si guarda al totale dell’attività ispettiva, i professionisti hanno subito 19.845 controlli (10,5%), con un’imposta di 329 milioni (2,3%), mentre per gli enti non commerciali i numeri si fermano a 3.292 accertamenti (1,7%), con un impatto di 163 milioni (1,1%). Una larga fetta – ossia 82.062 accertamenti (43,3%) – rientra nella categoria “accertamenti diversi”, generando 1.432 milioni (10%).
«I numeri confermano, ancora una volta, che le piccole e medie imprese italiane restano il bersaglio privilegiato del fisco. È l’ennesima dimostrazione di un accanimento selettivo e miope, che penalizza il tessuto produttivo più fragile e vitale del nostro Paese», ha affermato Marco Salustri, consigliere nazionale di Unimpresa. «Colpire le PMI è facile: sono più esposte, meno attrezzate sul piano legale e più vulnerabili sul fronte finanziario. Ma questa strategia non produce giustizia fiscale, né getta le basi per una riscossione più efficace. Anzi, genera sfiducia e alimenta un clima di ostilità verso le istituzioni». Da tempo, Unimpresa chiede una riforma equa e coraggiosa del sistema di accertamento, che veda al «criteri proporzionali, una maggiore attenzione ai grandi patrimoni e strumenti premiali per chi si mette in regola».
La criticità di tale sperequazione è ancora più evidente se si considerano i dati diramati lo scorso aprile dalla CGIA di Mestre, che ha raccolto le statistiche dell’Agenzia dell’Entrate, attraverso cui si conferma come il fenomeno dell’evasione sia concentrato nei grandi contribuenti, mentre piccoli imprenditori e lavoratori autonomi si trovano a rappresentare una quota marginale del debito fiscale. Come emerge dalla ricerca, negli ultimi 25 anni ben 1.279,8 miliardi di euro in tasse, contributi, imposte, bollette, multe e altri oneri non sono stati riscossi: una cifra che quasi potrebbe coprire metà del debito pubblico. Di questi importi, il 64,3% – ovvero 822,7 miliardi di euro – è imputabile alle società di capitali, tra cui Spa, Srl, consorzi e cooperative, mentre solo il 12,2% deriva dai piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e liberi professionisti.
Ampliando lo sguardo sul continente europeo, si nota come l’Italia non sia affatto l’unico Paese in cui i grandi evasori concentrano i loro affari. Un rapporto dell’Ong Tax Justice Network ha infatti recentemente rivelato che l’Europa ospita molte delle giurisdizioni più permissive in tema di tassazione, rendendola un rifugio per grandi aziende, ricchi professionisti e organizzazioni criminali che vogliono evadere il fisco. Complessivamente, l’UE contribuisce infatti a un terzo delle perdite fiscali mondiali.