Ci sono voluti 17 giorni di presidio. Diciassette giorni accampati davanti ai cancelli della loro azienda, sdraiati sull’asfalto sotto il sole torrido di luglio per impedire ai camion di entrare e uscire dallo stabilimento, bloccando di fatto la produzione. La polizia è intervenuta più volte per tentare di sgomberarli, mandando alcuni di loro all’ospedale. Ma alla fine ce l’hanno fatta: i 40 lavoratori della Sofalegname di Forlì hanno riottenuto il proprio posto di lavoro.
Domenica è stato firmato in Prefettura l’accordo con l’azienda, che prevede il blocco dei licenziamenti per sei mesi, l’attivazione di un contratto di solidarietà e l’impegno della ditta a risanare e rilanciare il sito produttivo.
Tutto era cominciato con la decisione di Gruppo 8 – colosso della produzione di divani e leader nel distretto dell’imbottito forlivese – di interrompere la collaborazione con la Sofalegname, a cui aveva affidato lavorazioni in subappalto. Una scelta che ha di fatto cancellato in un colpo solo i posti di lavoro per i 40 operai, in larga parte pakistani, che avevano lasciato Prato per trasferirsi in Romagna proprio per lavorare nello stabilimento.
Erano abituati a turni massacranti: 12 ore al giorno, sei giorni a settimana, stipendi ben al di sotto del minimo sindacale e sistemazione notturna improvvisata nello stesso magazzino in cui lavoravano. A dicembre, dopo una settimana di sciopero al gelo, erano riusciti a ottenere condizioni più dignitose: turni da otto ore per cinque giorni, un contratto stabile e una sistemazione temporanea in albergo. Ma quella parentesi è durata poco. Appena ultimate le ultime consegne, l’azienda li ha licenziati in blocco.
Secondo quanto riferito da Sarah Caudiero, del sindacato Sudd Cobas, il 3 luglio la Sofalegname ha annunciato l’intenzione di smantellare lo stabilimento, aprendo contemporaneamente un percorso per delocalizzare la produzione in Cina. Di fronte a questa prospettiva, i lavoratori sono tornati a manifestare, questa volta sotto il sole cocente. Hanno allestito tende davanti alla sede madre, la Gruppo 8, bloccando l’ingresso ai mezzi pesanti. La produzione si è fermata, con un danno economico che l’avvocato dell’azienda, Massimiliano Pompignoli, ha stimato in oltre mezzo milione di euro. «Stanno tenendo in ostaggio la produzione», ha commentato.
Secondo il sindacato, la vicenda mostra chiaramente una dinamica ben nota: una società “vuota”, la Sofalegname, viene usata per assumere manodopera a basso costo in condizioni di sfruttamento. Quando, grazie alle proteste, quei lavoratori riescono a ottenere un contratto regolare, l’azienda chiude i battenti e sposta altrove la produzione. «Un copione già visto a Prato – ricorda Caudiero – dove gli operai dormivano nelle fabbriche fino al 2013, quando un incendio nella ditta Teresa Moda uccise otto persone nel sonno».
Anche in quel caso, come in quello della Sofalegname, le aziende coinvolte avevano legami con la Cina. La Gruppo 8, infatti, fa capo alla multinazionale HTL, con sede a Singapore. «Vogliono il marchio Made in Italy – conclude Caudiero – ma con le regole di altri Paesi. Quando capiscono che devono rispettare le leggi italiane, prendono e se ne vanno».
Nei giorni più duri del presidio, la Regione Emilia-Romagna aveva proposto di fare da tramite per consentire ai lavoratori di accedere alla cassa integrazione. Ma l’offerta è stata rifiutata: gli operai non volevano accedere agli ammortizzatori sociali, bensì tornare al lavoro, a pieno titolo e con un contratto regolare. Una scelta di dignità e determinazione che ha guidato tutta la protesta.
La situazione è degenerata lunedì scorso, quando la polizia è intervenuta per impedire il blocco di un camion in uscita. I manifestanti, seduti a terra per chiudere il passaggio, sono stati sgomberati con la forza: tre lavoratori sono finiti in ospedale. Nei video diffusi dai sindacati si vedono agenti strattonare e spingere i manifestanti. «Il messaggio che passa è che le aziende possono fare tutto, e se qualcuno protesta, arriva la polizia a zittirlo», ha commentato Caudiero.
Ma nonostante la repressione, il presidio è continuato, coinvolgendo anche rappresentanti della Regione Emilia-Romagna e il senatore del Movimento 5 Stelle Marco Croatti che, dopo aver incontrato i manifestanti venerdì, aveva annunciato un’interrogazione parlamentare.
La firma dell’accordo è arrivato come un colpo di scena: appena il giorno prima la Sofalegname aveva diramato un comunicato dai toni minacciosi, nel quale dichiarava che, se i lavoratori non fossero rientrati «nei ranghi della legalità» interrompendo il presidio, si sarebbe proceduto con i licenziamenti di massa. Poche ore dopo, sono state accolte tutte le richieste fatte dagli operai e dal sindacato. L’accordo ha portato a un’intesa che allontana lo spettro della chiusura e apre una nuova fase. Nei prossimi giorni sarà convocato un tavolo tecnico permanente per definire il nuovo assetto organizzativo dello stabilimento.
«Ci chiamavano irresponsabili per non aver accettato accordi che avrebbero solo sancito la fine dello stabilimento – hanno dichiarato i sindacalisti di Sudd Cobas – Ma abbiamo resistito. Questo accordo dimostra che un’alternativa era possibile fin dall’inizio. La nostra lotta è servita».