Un nuovo segnale è stato captato e, questa volta, non proviene da pulsar, stelle morenti o nebulose in formazione, ma da una fusione da record tra due buchi neri con masse pari a circa 103 e 137 volte quella del nostro Sole: è quanto rivelato dalla rete internazionale LIGO-Virgo-KAGRA, la quale comprende migliaia di scienziati specializzati nello studio delle onde gravitazionali. Il segnale, denominato GW231123, è stato registrato dai due osservatori LIGO negli Stati Uniti e, secondo gli esperti, risulta così estremo da mettere potenzialmente in crisi i modelli teorici esistenti: «È l’evento più massiccio mai rilevato di questo tipo. Spinge le nostre capacità di strumentazione e analisi dei dati al limite di ciò che è attualmente possibile», commentano infatti gli scienziati. La spiegazione più probabile è che questi buchi neri si siano formati da fusioni precedenti, anche se non si escludono scenari più complessi.
La scoperta è frutto della collaborazione tra LIGO (Stati Uniti), Virgo (Italia) e KAGRA (Giappone), le tre principali infrastrutture mondiali dedicate alla rilevazione delle onde gravitazionali – minuscole increspature dello spaziotempo generate da eventi cosmici estremi. LIGO è finanziato dalla National Science Foundation (NSF) statunitense e gestito da Caltech e MIT, con il supporto di enti come la Max Planck Society e il Science and Technology Facilities Council britannico. Virgo, invece, ospitato presso l’Osservatorio Gravitazionale Europeo vicino Pisa, è sostenuto da istituzioni europee tra cui l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e il Centre National de la Recherche Scientifique francese. KAGRA, infine, situato a Kamioka, è gestito dall’Università di Tokyo e da altri istituti giapponesi. Complessivamente, si tratta di collaborazioni che coinvolgono oltre 3.000 scienziati nel mondo. Per quanto riguarda in particolare l’evento GW231123, è stato osservato durante il quarto ciclo di osservazione, iniziato nel maggio 2023, che ha beneficiato della più lunga campagna continuativa finora realizzata e di un netto miglioramento della sensibilità degli strumenti.
Secondo i dati finora raccolti, GW231123 rappresenta la fusione di buchi neri con masse talmente elevate da essere ritenute incompatibili con i modelli standard di evoluzione stellare: «I buchi neri di queste dimensioni sono proibiti dai modelli standard. Una possibilità è che si siano formati da precedenti fusioni di buchi neri più piccoli», spiega infatti il professor Mark Hannam dell’Università di Cardiff, aggiungendo che l’analisi, condotta da un team guidato dall’Università di Glasgow, ha richiesto l’uso di modelli teorici capaci di descrivere accuratamente dinamiche ad alta rotazione. «È uno dei tanti eventi che abbiamo studiato nei dati raccolti nel 2023 e all’inizio del 2024», racconta il ricercatore Daniel Williams, aggiungendo che, rispetto alla precedente fusione più massiccia conosciuta, GW190521 (circa 140 masse solari), questa nuova rilevazione segna un balzo notevole. Per alcuni esperti, poi, le sue caratteristiche suggeriscono che l’universo possa essere molto più vario – e turbolento – di quanto si pensasse: «La scoperta di un sistema così massiccio e ad alta rotazione rappresenta una sfida non solo per le nostre tecniche di analisi dei dati, ma anche per la modellizzazione teorica per molti anni a venire», afferma Ed Porter del CNRS. Infine, i ricercatori hanno dichiarato che, nonostante il record e la rilevanza scientifica della scoperta, serviranno anni per interpretare pienamente il segnale e tutte le sue implicazioni. Eventi come questo, però, potrebbero già segnare un punto di svolta nello studio dell’evoluzione stellare: «Ci aspettano tempi entusiasmanti!», conclude il fisico Gregorio Carullo dell’Università di Birmingham.