giovedì 17 Luglio 2025

La giravolta di Trump sul caso Epstein: “è una truffa che non vi deve interessare”

«La nuova TRUFFA dei democratici è quella che chiameremo per sempre la bufala di Jeffrey Epstein». Con la consueta disinvoltura strategica che contraddistingue la sua comunicazione politica, con un lungo post su Truth, Donald Trump ha nuovamente riscritto la narrazione su uno dei casi più scottanti dell’ultimo decennio: quello di Jeffrey Epstein. Da paladino della “verità” contro le élite corrotte del Deep State, a presidente che ora liquida la vicenda come un «argomento noioso» che non dovrebbe «interessare a nessuno», il tycoon ha compiuto l’ennesima giravolta che sta spaccando il fronte MAGA e rischia di aprire una frattura profonda tra base e vertice del trumpismo.

Durante la sua campagna elettorale del 2024 e nei primi mesi del secondo mandato presidenziale, Trump aveva promesso con toni solenni di fare piena luce sul caso Epstein, assicurando che, se eletto, «probabilmente» avrebbe desecretato tutti i documenti federali relativi al finanziere pedofilo. Si era impegnato a «mostrare al mondo il marciume delle élite», promettendo trasparenza, giustizia e – implicitamente – vendetta per le vittime del finanziere. Non era solo una mossa propagandistica: molti esponenti di primo piano del movimento MAGA, da Kash Patel a JD Vance, avevano fatto leva proprio su questa promessa per galvanizzare la base elettorale. 

Nel gennaio 2024, Pam Bondi, ora procuratrice generale degli Stati Uniti, aveva criticato la pubblicazione, da parte di un giudice federale, di documenti giudiziari non secretati su Epstein, perché «sarebbero dovuti essere resi pubblici molto tempo fa». L’allora candidato alla vicepresidenza JD Vance nel podcast di Theo Von, nell’ottobre 2024, aveva invitato a «pubblicare la lista di Epstein». 

Il 21 febbraio 2025, Bondi aveva affermato che la lista Epstein era sulla sua scrivania «da esaminare». Il 27 febbraio, la procura generale aveva reso nota la “Fase 1” dei file Epstein, una prima parte di documenti declassificati: volantini con registri di volo, nomi parzialmente oscurati, e prove già note. Una mossa percepita da molti come un contentino, che ha invece aumentato le pressioni affinché si pubblicasse la famigerata “lista dei clienti”, contenente i nomi dei potenti coinvolti negli abusi. «Non ci saranno insabbiamenti, nessun documento mancante e nulla sarà lasciato al caso», aveva promesso il direttore dell’FBI Kash Patel su X in risposta alle critiche. 

Ancora il 3 marzo Bondi annunciava di aver ricevuto un “camion” di documenti. Il 7 maggio, la procuratrice generale raccontava ai giornalisti che l’FBI stava esaminando «decine di migliaia di video di Epstein con bambini o di materiale pedopornografico».

Poi, la svolta. Il 7 luglio, il Dipartimento di Giustizia ha pubblicato un memorandum in cui si affermava che non sarebbero stati resi pubblici ulteriori fascicoli relativi alle indagini sul traffico sessuale internazionale di Epstein e che non esiste alcuna “lista clienti”. La reazione è stata furibonda: profili MAGA, giornalisti conservatori e influencer vicini a Trump hanno denunciato quello che vedono come un tradimento. Alcuni, come Tucker Carlson, hanno apertamente parlato di insabbiamento. Durante un evento organizzato da Turning Point USA a Tampa, Carlson ha anche rilanciato l’ipotesi non nuova che Epstein avrebbe lavorato per il Mossad, per cui avrebbe orchestrato una possibile operazione di ricatto ai danni di figure di spicco.

La replica di Trump è arrivata a stretto giro di posta: con un post su Truth ha etichettato tutto il caso Epstein come «una bufala dei democratici». «I miei sostenitori passati ci hanno creduto in pieno», ha scritto, prendendo le distanze da un caso che per anni ha contribuito lui stesso ad alimentare, anche con dichiarazioni e retweet esplosivi, come quando nel 2019 rilanciò la teoria secondo cui Epstein sarebbe stato «ucciso dai Clinton», condividendo un post del comico Terrence K. Williams.

Il gelo di Trump sul dossier Epstein arriva poche settimane dopo l’attacco frontale di Elon Musk. Il miliardario, in rotta col presidente per la legge di bilancio, aveva sganciato una bomba mediatica: «Trump è nei file di Epstein», aveva scritto su X (rimuovendo poi il post). Nessuna prova fornita, ma l’insinuazione è bastata per far tremare le fondamenta del consenso trumpiano.

Non è un segreto che Musk ed Epstein si conoscessero, né che Musk abbia rifiutato inviti ripetuti a visitare l’isola privata del finanziere. Ma la sua accusa – lanciata senza filtri né verifiche – ha aperto una crepa nel fronte repubblicano. E, forse, proprio per questo Trump ora vuole chiudere il capitolo il prima possibile: evitare che il fuoco incrociato scivoli da Clinton verso Mar-a-Lago.

Nel frattempo, l’amministrazione è nel caos. Pam Bondi è nel mirino per aver frenato la desecretazione; Kash Patel, ora direttore dell’FBI, ha promesso trasparenza totale salvo poi doversi difendere da accuse di “omertà istituzionale” (stesso destino per il numero due dell’FBI Dan Bongino che ora pensa di dimettersi). Persino JD Vance, oggi vicepresidente, è rimasto in silenzio dopo mesi di invettive contro l’opacità del Dipartimento di Giustizia.

Il caso Epstein si è trasformato così da cavallo di battaglia a bomba a orologeria per Trump. Dopo averlo cavalcato come simbolo della depravazione del Deep State, oggi lo bolla come una «bufala» che «non interessa a nessun». Ma il problema è che per anni, qualcuno, proprio nel suo campo, ci ha creduto davvero. E ora chiede risposte.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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