sabato 12 Luglio 2025

La sinistra cilena prova a ripartire dalla comunista Jeannette Jara

A due settimane dalle elezioni primarie che in Cile hanno portato alla vittoria della candidata comunista Jeannette Jara, i leader dei partiti si sono pronunciati in merito: il presidente Boric sostiene la futura rappresentante della coalizione di sinistra, mentre la destra condanna apertamente l’eredità comunista della candidata.

Lo scorso 29 giugno si sono infatti celebrate le elezioni primarie per scegliere chi rappresenterà la coalizione ufficiale della sinistra cilena alle elezioni generali del prossimo novembre 2025. Tra le persone deputate a raccogliere il testimone dell’attuale presidente Gabriel Boric si è fatta largo la candidata proveniente dal Partito Comunista Cileno (PCC) Jeannette Jara, che ha ottenuto il 60,16% delle preferenze.

L’elezione, che ha visto un calo alle urne di circa 300.000 voti rispetto alle primarie del 2021, ha segnato una vittoria storica di un partito che non presentava una candidatura alle elezioni presidenziali dai tempi di Salvador Allende. Jeannette Jara ha sbaragliato la concorrenza politica, lasciando la candidata del Partido por la Democracia, ministra dell’interno ed ex sindaca di Santiago Carolina Tohá al 26% e il successore di Boric e rappresentante del Frente Amplio Gonzalo Winter al 9% delle preferenze.

In un contesto politico radicalmente differente rispetto alle elezioni del 2021, ancora scosse dal terremoto sociale delle proteste del 2019 contro l’ex presidente Sebastián Piñera, ci si chiede quali siano reali possibilità della candidata comunista di vincere nel mandato elettorale del prossimo autunno. In primo luogo, la prossima candidata di sinistra rappresenta al momento i successi di un governo che ha deluso apparentemente le aspettative dell’elettorato progressista cileno, come testimoniato dal calo alle urne nelle ultime primarie. Difatti Jara nel corso dell’attuale legislatura ha ricoperto il ruolo di ministra del lavoro e della previdenza sociale del Cile e ha potuto vantare l’approvazione di due leggi essenziali del programma elettorale del Frente Amplio: la riduzione dell’orario di lavoro e l’aumento del salario minimo interprofessionale. 

Attraverso la Ley 40 horas (legge 40 ore) il governo ha approvato una riduzione graduale in quattro anni della giornata lavorativa da quarantacinque a quaranta ore settimanali, in un lasso temporale che va dal 2024 al 2028. Simultaneamente, il salario minimo ha subito un incremento del 43% (un 20% reale scontando l’inflazione) rispetto all’inizio della legislatura, con un ulteriore innalzamento del 3,6% entro il 2026. 

A rafforzare la figura di Jeannette Jara sembrerebbe essere risultato particolarmente efficace il processo di distanziamento che la candidata ha messo in atto nei confronti del suo partito d’appartenenza. Secondo alcuni analisti, il PCC appare, agli occhi dell’elettorato progressista cileno, ancora troppo radicale, specialmente nell’ambito della politica internazionale. Difatti, Jara è riuscita abilmente a smarcarsi dall’ossessione conservatrice riguardo le relazioni con il governo cubano e il governo venezuelano, sottolineando l’importanza della salvaguardia delle istituzioni democratiche. Un ulteriore punto a favore è rappresentato dalle origini della candidata di sinistra: proveniente da un quartiere popolare nella periferia di Santiago del Cile, Jara è nata e cresciuta in un contesto familiare proletario, che potrebbe così avvicinarla alle classi umili dell’elettorato cileno, differentemente dai candidati avversari, discendenti di ex politici e militari.

Se da un lato si è potuto osservare il riconoscimento della vittoria e la promessa di collaborazione espressa dai candidati sconfitti in questa tornata elettorale, oltre che l’appoggio dello stesso presidente Boric, dall’altro la destra cilena ha rapidamente colto l’occasione per attaccare Jara e criticare la vittoria di una candidata «comunista». Il candidato libertario Johannes Kaiser ha sottolineato il «rischio per il futuro democratico del paese», per poi proporre, durante un’intervista rilasciata nel programma De Frente, di «proscrivere il Partito Comunista Cileno». Nella stessa occasione ha dichiarato che il colpo di stato di Augusto Pinochet fosse una «dichiarazione militare», normalizzando la violazione dei diritti umani come semplice conseguenza della guerra civile. L’altra rappresentante della destra Evelyn Matthei si è invece soffermata sulla bassa affluenza delle primarie, come diretta conseguenza dei risultati del governo Boric.

In un contesto di forte polarizzazione, nel quale la destra cilena oscilla tra il revisionista Johannes Kaiser e Antonio Kast, antiabortista e figlio di un ex ufficiale nazista della Wermacht, la sinistra raccoglie l’eredità sfiancata del governo Boric che non sembra essere riuscito a mantenere la fiducia del suo elettorato. Le elezioni di novembre decreteranno se il popolo cileno sceglierà di tornare alle politiche pre-Boric o se si fideranno di una candidata di eredità comunista.

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Armando Negro

Laureato in Lingue e Letterature straniere, specializzato in didattiche innovative e contesti indipendentisti. Corrispondente da Barcellona, per L’Indipendente si occupa di politica spagnola, lotte sociali e questioni indipendentiste.

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