sabato 5 Luglio 2025

I veri numeri dietro l’apparente stabilità dell’inflazione italiana

A livello macroeconomico, i primi sei mesi del 2025 restituiscono uno scenario ben meno roseo di quanto appaia. A dirlo è Gabriel Debach, analista di mercato di eToro, in uno studio sull’inflazione apparso nello stesso sito della multinazionale di investimenti. Dietro l’apparente stabilità dell’inflazione rivendicata con forza dal governo Meloni, infatti, si nascondono spinte e pressioni settoriali, che vanno a incidere primariamente sui carrelli della spesa degli italiani: anche se da un’analisi superficiale dei dati non sembra, non è vero che i prezzi salgono di poco. Il rialzo, anzi, prosegue ininterrottamente da anni e sta erodendo silenziosamente e lentamente i portafogli dei cittadini, tanto che negli ultimi cinque anni, il loro potere di acquisto è diminuito di un quinto.

L’analisi di Debach è stata pubblicata all’inizio del mese di luglio, e si basa sui dati ufficiali rilasciati dall’ISTAT. Nel suo studio, l’analista scava dietro quella apparente stabilità dell’inflazione, per mettere davvero a nudo i numeri statistici. A gennaio, l’inflazione tendenziale (ossia quella relativa allo stesso periodo dell’anno precedente) si è fermata al +1,5%, mentre a giugno, dopo il picco dell’1,9% di marzo e aprile, si è attestata all’1,7%. I dati generali, insomma, sembrano mostrare una situazione di lieve aumento, ma tutto sommato equilibrata. Eppure, non è veramente così.

Nella sua operazione di scorporazione dei dati, Debach parte proprio da gennaio 2025. In quel mese, l’inflazione è stata prevalentemente trainata dal rincaro dei beni energetici regolamentati, che hanno toccato quota +27,5%. Il carrello della spesa, invece, è aumentato dell’1,7%. A febbraio il quadro è rimasto all’incirca lo stesso, ma c’è stata una prima reazione dei mercati: l’inflazione è infatti arrivata all’1,6%, i prezzi dell’energia al 31,4%, e il carrello al 2%. Dietro a quello che sembrava un aumento circoscritto e legato a componenti amministrate, insomma, è iniziato a emergere un primo aumento delle componenti settoriali, e specialmente dei generi alimentari. A marzo è arrivata la vera svolta: davanti a una inflazione dell’1,9% e a un calo dell’energia non regolamentata, i beni alimentari freschi hanno toccato il +3,3%, mentre il carrello è aumentato ulteriormente di un punto base, arrivando, ad aprile, a un incremento del 2,6%. Dopo la breve inversione di maggio, giugno è stato testimone della spaccatura finale: l’inflazione è tornata all’1,7%, l’energia è continuata a calare, ma il prezzo del carrello è arrivato al +3,1%.

La sostanziale stabilità dell’inflazione, aumentata di soli due punti base in sei mesi, nasconde insomma dei movimenti intestini, segni di un mercato che cede. Il prezzo dei beni alimentari da inizio anno è quasi raddoppiato, e il suo divario con l’inflazione è aumentato del 600%. L’inflazione, sottolinea Debach, resta invariata solo se si guardano gli indici generali dei prezzi, ma se viene scomposta rivela una situazione di instabilità. Questo risulta evidente se si guarda la variazione congiunturale (ossia quella che compara l’andamento dei prezzi rispetto ai mesi precedenti), tra dicembre e gennaio: «A gennaio, le spese condominiali guidano gli aumenti (+19,6%), seguite da giochi tradizionali (+10,6%) e supporti di registrazione. In coda, i voli nazionali e internazionali, in forte calo (-32%) dopo i rincari natalizi». Queste variazioni di decine di punti in decine di punti hanno interessato tutti i mesi del 2025 e diversi settori o beni specifici: a maggio, le pere sono diventate la voce con il maggiore rincaro da inizio anno, pari al 32%. In generale, dietro la stabilità dell’inflazione si nasconde un’ampia oscillazione dei prezzi di settore o dei singoli beni, che colpisce prevalentemente i beni di prima necessità.

Per comprendere l’impatto dell’inflazione sui cittadini, basta guardare l’atteggiamento degli italiani, di fronte a questa silente erosione: «Se i numeri dell’inflazione headline e di fondo non sembrano ancora preoccupare la BCE, lo stesso non si può dire dei bilanci domestici», scrive Debach. Nei primi tre mesi del 2025, il potere di acquisto delle famiglie è aumentato dello 0,9%, ma la propensione al risparmio è tornata a salire. I consumi finali sono aumentati dell’1,2%, ma il reddito disponibile è cresciuto dell’1,8%. Le famiglie, insomma, spendono meno di quanto potrebbero, perché nonostante i prezzi sembrino stabili, i beni essenziali continuano ad aumentare. Questo rosicchiamento dei portafogli degli italiani viene mascherato dai dati relativi ai prezzi generali, ma è limpido se si amplia l’orizzonte e si guarda al lungo periodo: negli ultimi cinque anni, le famiglie italiane hanno infatti perso quasi un quinto del potere d’acquisto a causa dell’inflazione. Dal gennaio 2020 a oggi, l’indice generale dei prezzi al consumo è aumentato del 19,2%. «Questo significa che 1.000 euro lasciati fermi sotto il materasso valgono oggi, in termini reali, poco più di 830 euro».

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.

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