martedì 1 Luglio 2025

Nessuna giustizia per Mario Paciolla: il tribunale di Roma archivia il caso per suicidio

«Con questa sentenza, Mario è stato ucciso una seconda volta». Lo ripetono i familiari, gli amici, chi ha conosciuto Mario Paciolla soltanto dopo la sua morte e ne ha preso a cuore la storia, unendosi a quel grido di dolore che da cinque anni chiede verità e giustizia. Ieri il giudice per le indagini preliminari (GIP) di Roma ha accolto la richiesta della Procura e archiviato il caso, sostenendo che la vita del cooperante ONU morto in Colombia nel 2020 si sia interrotta con un suicidio. Una tesi che stride con una serie di dati tecnici emersi durante l’autopsia e con l’alterazione della scena del crimine a opera delle Nazioni Unite, oltre che con lo stato d’animo di Mario il quale, non sentendosi più sicuro in Colombia, avrebbe dovuto partire a giorni per l’Italia.

Mario Paciolla era un cooperante ONU, che dal 2018 lavorava in Colombia per garantire l’applicazione degli accordi di pace tra il governo e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC). Il 15 luglio del 2020 il corpo di Mario venne ritrovato senza vita presso la sua abitazione, a San Vicente del Caguán. Da allora una serie di depistaggi, silenzi e inerzie ha montato un caso complesso, che coinvolge un Paese straniero e la massima organizzazione internazionale. L’iter giudiziario inizia in Colombia, dove nel settembre 2022 la morte di Mario Paciolla viene archiviata per suicidio. Un mese dopo la Procura di Roma giunge allo stesso esito, che il giudice però respinge, sostenendo che l’ipotesi del suicidio non è logica perché presta il fianco a molti sospetti. Vengono così disposte nuove indagini, ma i pubblici ministeri non cambiano idea e a giugno 2024 avanzano la seconda richiesta di archiviazione, che a distanza di un anno il GIP accoglie. «Noi sappiamo non solo con le certezze del nostro cuore, ma con le evidenze della ragione frutto di anni di investigazione e perizie, che Mario non si è tolto la vita ma è stato ucciso perché aveva fatto troppo bene il suo lavoro umanitario in un contesto difficilissimo e pericoloso in cui evidentemente non bisognava fidarsi di nessuno», ha commentato la famiglia Paciolla, abbracciata ieri dalla solidarietà dei cittadini napoletani riunitisi in presidio a piazza Municipio, nei pressi della sede comunale. Un unico, eloquente, striscione ha parlato per tutti: «Mario Paciolla non si è suicidato! ONU criminale, Italia complice».

Secondo la versione del suicidio avanzata dalla Procura di Roma, il trentatreenne napoletano avrebbe tentato una prima volta di impiccarsi senza riuscirci, ripiegando dunque sul taglio delle vene. Come sottolinea l’avvocata Alessandra Ballerini in una recente inchiesta di Fanpage, la seconda ferita avrebbe dovuto comportare un gocciolamento dato dal primo polso tagliato pochi attimi prima, di cui però non c’è traccia sui vestiti. Mancano anche le impronte insanguinate sul materasso, il che presupporrebbe un balzo con un colpo di reni — non proprio semplice con ferite del genere — per andare in giro per la casa, verso il computer. Qui si registrano dei gocciolamenti, precisi e metodici, senza alcun barcollamento. «Non ci sono impronte né di scarpe né di piedi scalzi, quindi Mario sta attentissimo a non mettere mai il piede su una goccia di sangue che ha lasciato», dice Ballerini. Il balzo felino si ripeterebbe per tornare sulla sedia, il tutto senza appoggiare le mani, dal momento che mancano le impronte. Mario si metterebbe dunque in punta di piedi, a nove centimetri e mezzo dalla grata attraverso cui far passare la corda con un lancio. A questo punto si impiccherebbe in condizioni anomale: «la sedia incredibilmente non cade e Mario la tocca coi piedi», racconta l’avvocata della famiglia Paciolla.

A questa ricostruzione si aggiungono altri punti oscuri. Lo ricordano in ogni occasione utile i genitori di Mario, Anna e Pino, che si sono avvalsi nel tempo di perizie tecniche a sostegno della loro battaglia. Nelle conclusioni dell’autopsia effettuata sul corpo del cooperante ONU, il medico legale Vittorio Fineschi scrive: “Vale il conto, tuttavia, di precisare che talune evidenze – non trovando spiegazione alternativa nell’ambito dell’ipotesi suicidaria – sostengono in maniera prevalente l’ipotesi dello strangolamento con successiva sospensione del corpo”. Compatibile con tale ipotesi è la rottura dell’osso ioide rilevata sul corpo del trentatreenne napoletano oltre che la presenza di un anestetico paralizzante, la lidocaina, nel sangue. Riguardo ai tagli sui polsi, Fineschi afferma: “le evidenze riscontrate nell’ambito della vitalità non consentono di escludere in termini di ragionevole certezza la possibilità che le lesioni siano venute a prodursi in limite vitae o addirittura post-mortem”. A ciò si aggiunge l’inquinamento della scena del crimine da parte del responsabile della sicurezza della missione ONU, Christian Thompson, che dopo aver usato della candeggina per ripulire diversi punti dell’appartamento ha buttato alcuni oggetti, violando i protocolli delle stesse Nazioni Unite senza però incorrere in alcuna sanzione o condanna ma venendo addirittura promosso. D’altronde la massima organizzazione internazionale ha imposto ai suoi dipendenti il massimo riservo sulla questione, non collaborando al percorso di verità e giustizia intrapreso dalla famiglia Paciolla, che ha più volte raccontato dell’inquietudine provata da Mario nei confronti di Thompson. Negli ultimi giorni di vita, il cooperante parla coi genitori di problemi seri, in una telefonata risalente all’11 luglio dice che “gliela faranno pagare”. La versione è confermata dalla compagna Ilaria Izzo, secondo cui Mario Paciolla si sentiva tradito e spiato dallo staff dell’ONU, probabilmente a seguito di alcune scoperte fatte nella gestione della missione.

La famiglia Paciolla, insieme a tanti amici e conoscenti, continuerà la sua lotta. L’appello è rivolto innanzitutto al governo italiano e alle Nazioni Unite, per una collaborazione con le autorità colombiane in grado di stabilire le dinamiche e le responsabilità di quel 15 luglio, andando oltre un’archiviazione di comodo. Quest’ultima, alla luce dei tanti punti d’ombra emersi nella ricostruzione, pare configurarsi infatti come un tentativo di non disturbare equilibri e relazioni internazionali, scontentando tutti coloro che hanno a cuore la storia di Mario. Al di là del canale istituzionale, il comitato giustizia per Mario Paciolla ha fatto sapere che dopo aver capito le ragioni dell’archiviazione ci si riorganizzerà per il futuro, «nuovi elementi saranno a disposizione della campagna di sensibilizzazione per Mario, senza perdere la speranza perché nuove prove sono in attesa di essere scoperte, nuove persone sono in attesa di essere messe in contatto. C’è tanto da fare. Questa è una storia difficile, ma non impossibile».

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Salvatore Toscano

Laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, per L’Indipendente si occupa di politica, diritti e movimenti. Si dedica al giornalismo dopo aver compreso l’importanza della penna come strumento di denuncia sociale. Ha vinto il concorso giovanile Marudo X: i buoni perché della politica.

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