Durante i giorni del vertice della NATO celebrato all’Aia, momento in cui tutti i Paesi membri hanno aderito all’aumento delle spese militari fino al 5% del proprio PIL annuo, a godere di un certo clamore mediatico e a ricevere il plauso di varie frange della politica europea e italiana, è stato il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez. Il socialista, difatti, è stato l’unico, almeno a parole, a replicare all’obbligo imposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, esprimendo un netto rifiuto e assicurando al popolo che rappresenta che la Spagna avrebbe agito diversamente dagli altri stati membri.
Domenica 22 giugno, a due giorni dal vertice, Pedro Sánchez ha rilasciato una conferenza stampa a sorpresa e senza la presenza di giornalisti, per annunciare che, grazie ad un accordo stipulato con il Segretario generale della NATO Mark Rutte, la Spagna avrebbe ottenuto la possibilità di esimersi dall’aumento al 5% del PIL, pur garantendo in ogni caso il raggiungimento dei capability targets, ovvero gli obiettivi fissati dall’alleanza che ciascuno stato deve raggiungere per contribuire. Secondo Pedro Sánchez, attraverso le stime di un comitato tecnico non ben specificato, per raggiungere gli obiettivi NATO sarebbe sufficiente il solo 2,1% del PIL, percentuale che non convince Rutte che ha smentito rilanciando con un impegno minimo del 3,5%.
L’impegno con la NATO
Nonostante il presunto accordo tra NATO e Spagna, non ancora reso pubblico, il 25 giugno Pedro Sánchez si è visto obbligato a firmare l’aumento del 5%, al pari degli altri Paesi e confermare così l’impegno spagnolo nel raggiungere la percentuale annuale entro il 2035. Restano quindi da vedere i parametri politici dentro i quali Sánchez si muoverà: intanto, mentre Donald Trump ha dato inizio al consueto teatro di minacce nei confronti di coloro che provano a rispondere alle imposizioni statunitensi, il primo ministro socialista ha reiterato l’intenzione di non superare il 2,1% e ha smentito le ipotesi di un ripensamento dell’impegno spagnolo in Europa e nella NATO: «essere europeista e atlantista non implica un’adesione cieca che altri nel nostro paese propongono» ha dichiarato Sánchez in conferenza stampa.
Se in una gran parte della sinistra europea Sánchez ha rapidamente interpretato il ruolo dello strenuo avversario politico di Trump, in patria le reazioni sono state senza dubbio più variegate. Dall’opposizione, il Partido Popular e il partito di estrema destra VOX, arroccati in una condizione di perpetua campagna elettorale, hanno accusato Sánchez di aver destabilizzato l’Europa con il fine ultimo di distogliere l’attenzione dai casi di corruzione all’interno del Partito socialista; da sinistra, invece, Ernest Urtasun, ministro della cultura e portavoce del partito Sumar (secondo socio maggioritario al governo) ha esaltato la dignità della Spagna, contro le «pretese assolutamente inaccettabili» avanzate dal presidente statunitense. Anche gli indipendentisti baschi di Euskal Herria Bildu hanno apprezzato la «posizione corretta» di Sánchez, mentre Gabriel Rufián, portavoce degli indipendentisti catalani di Esquerra Repubblicana, ha valutato negativamente l’aumento delle spese militari imposto dalla NATO e in merito alle minacce del tycoon ha affermato che «è sempre una cosa buona far arrabbiare Trump».

Resta il fatto che questo nuovo accordo ha paradossalmente assuefatto le proteste provenienti dalla sinistra parlamentare, che solo ad aprile denunciavano i gravi colpi che il welfare sociale avrebbe subito con l’aumento del PIL destinato alla difesa allora al 2%. In quell’occasione Sánchez assicurò la possibilità da parte del paese di gestire la spesa, escludendo alcun tipo di taglio.
In un’ottica diametralmente opposta si è situata l’opinione di Podemos. Dal partito, infatti, denunciano il presunto inganno che Sánchez avrebbe pronunciato nel presentare un accordo privato, che in ogni caso ha portato alla firma e, secondo loro, al conseguente impegno della Spagna con la NATO. Difatti, Sánchez, appellandosi a mere questioni linguistiche, avrebbe specificato che nel trattato dell’alleanza atlantica non figurerebbe l’obbligo da parte di «tutti» i paesi membri di raggiungere il 5%, bensì da parte de «gli alleati», voce che aprirebbe ad un’estromissione della Spagna dall’obbligo. Davanti all’impossibilità di tirarsi fuori dall’accordo atlantico, i viola prevedono come unica soluzione l’interruzione degli accordi e l’uscita dalla NATO.
I rapporti con Israele
Sánchez sembra rappresentare un faro per la sinistra europea anche sul genocidio a Gaza. Il governo spagnolo, infatti, nonostante il grande ritardo istituzionale sulla questione, è stato tra i primi a spendersi a sostegno del popolo palestinese, riconoscendo lo stato di Palestina e, successivamente, dichiarando di aver interrotto alcuni contratti di compravendita d’armi stipulati con lo stato israeliano. Se da questo punto di vista Sánchez si è schierato, specialmente negli ultimi mesi, con fermezza contro Netanyahu, tanto da scatenare le ire dell’ambasciatrice israeliana a Madrid, un’inchiesta svolta dalla giornalista Olga Rodríguez ha svelato che dal 7 ottobre 2023 il governo spagnolo ha stipulato più di quaranta contratti con aziende militari israeliane, arrivando ad almeno 134 operazioni di compravendita dall’inizio del genocidio. Nonostante questi dati siano pubblici, Sánchez e la ministra della Difesa Margarita Robles hanno sempre negato queste relazioni commerciali. A questo si aggiungono i transiti per i porti spagnoli di navi cariche di armi o materiali di approvvigionamento militare diretti verso Israele: l’ultimo è previsto per l’1 luglio attraverso il porto di Barcellona. Anche in merito all’aggressione israeliana ai danni dell’Iran e ai seguenti giorni di conflitto, Sánchez ha scelto di rimanere in silenzio, per poi intervenire solo dopo l’attacco statunitense e condannare la presunta corsa al nucleare iraniana, senza mai menzionare le responsabilità statunitensi e israeliane.
Gli scandali interni
È sul fronte interno, però, che Sánchez si trova in un equilibrio specialmente precario. Difatti, dopo lo scoppio del “caso Koldo”, il caso di corruzione interno al partito scoppiato nel corso del primo anno della legislatura, che ha portato alle dimissioni dell’ex ministro dei trasporti José Luis Ábalos, nel mese di maggio la Unidad Central Operativa (UCO) della polizia giudiziaria della Guardia Civil ha scoperto che il Segretario d’organizzazione del PSOE e numero tre del partito Santos Cerdán ha influenzato l’acquisizione di appalti pubblici a favore di imprese costruttrici come Acciona.

In seguito alle dimissioni da segretario e da deputato di Cerdán, Sánchez ha rilasciato una conferenza stampa durante la quale ha pubblicamente chiesto «perdono», senza però rinunciare alla propria carica istituzionale. Il futuro della legislatura sembra quindi appeso a un filo, ma nonostante tutto Sánchez resta tranquillo sulla fiducia dei suoi alleati di governo. L’approvazione definitiva pronunciata il 26 giugno da parte del Tribunal Constitucional sulla controversa Ley de Amnistía, può sicuramente far tirare un sospiro di sollievo ai socialisti, specialmente nelle relazioni con il partito indipendentista catalano di destra Junts, che fino ad ora si è dimostrato l’alleato più scomodo. Ci si chiede, però, quanto questa pace sociale possa durare: i casi di corruzione hanno già incontrato il malcontento degli alleati a sinistra, specialmente da Sumar, che negli ultimi giorni ha perso l’appoggio del partito Més, socio maggioritario della coalizione, passato ufficialmente al gruppo misto. Sánchez sembra così avere particolare favore in ambito europeo, dove probabilmente non riescono ad emergere le inchieste giornalistiche sulle relazioni con Israele o i casi di corruzione da gestire in casa. Il presidente non ha dubbi: «sì, sono deciso a ripresentarmi alle prossime elezioni generali nel 2027» ha affermato nella conferenza stampa celebrata dopo il vertice della NATO.
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Primo comandamento: non fidarti mai di nessun politico, soprattutto di quello che ti sta governando…