martedì 24 Giugno 2025

Meloni insiste sulle privatizzazioni: il 20% di Eni-Plenitude a un fondo americano

Il colosso energetico italiano ENI ha annunciato ieri di aver firmato un accordo con il fondo statunitense Ares Management che prevede la cessione del 20% delle azioni di Plenitude, società di fornitura di gas e luce controllata al cento per cento da ENI, per un valore di circa due miliardi di euro. Il cane a sei zampe aveva già venduto il 10% della sua controllata, che fino al 2022 si chiamava Eni gas e luce, al fondo d’investimento svizzero Energy Infrastructure Partners (EIP). ENI – azienda controllata del ministero del Tesoro – rimane l’azionista di maggioranza con il 70% delle azioni della società, mentre Ares diventa il primo azionista di minoranza. La cessione rientra nella “strategia” di sviluppo del «modello satellitare» di ENI che ha l’obiettivo di valorizzare le attività collegate ai business della transizione energetica rendendo più indipendenti le cosiddette società satellite attraverso investimenti esterni. «L’accordo annunciato oggi conferma la grande attrattività del modello di business di Plenitude, una delle nostre società satellite costituita pochi anni fa per valorizzare al meglio una parte dei nostri asset a elevato potenziale, creare sempre più valore e contribuire ai nostri obiettivi di azzeramento netto delle emissioni Scope 3», ha commentato Francesco Gattei, responsabile della transizione e direttore finanziario di Eni.

Se da un lato, la società sottolinea l’attrattività delle sue controllate per il mercato e lo sviluppo del modello satellitare, dall’altro, la cessione di una percentuale di minoranza di Plenitude risulta in continuità con quella tendenza a privatizzare parti di società strategiche per la sicurezza nazionale che è proseguita e si è accentuata con il governo Meloni. Pur mantenendo, infatti, quote di maggioranza nelle compagnie chiave per l’indipendenza energetica e infrastrutturale italiana, l’esecutivo di centro-destra ha approvato e agevolato la privatizzazione di parti importanti di società anche tutelate dal cosiddetto Golden power (in italiano “poteri speciali”) a favore di compagnie straniere, in particolare fondi statunitensi. Il che non ha solo ripercussioni economiche, ma anche politiche e geopolitiche, considerata la cessione e la condivisione di dati sensibili e la possibilità di influenzare le decisioni delle compagnie stesse da parte di azionisti stranieri. Anche nell’ultima operazione effettuata da ENI è coinvolto uno dei principali fondi d’investimento statunitense al mondo: si tratta di un gruppo di fondi Alternative Credit, tutti affiliati del principale gestore globale di investimenti Ares Management Corporation. Inoltre, ad affiancare il colosso energetico italiano nel perfezionamento dell’operazione, oltre a Mediobanca, è intervenuta la potente banca statunitense Goldman Sachs, mentre Ares è stata supportata da Deutsche Bank, UniCredit, L&B Partners con lo studio Chiomenti per la parte legale. Ares Management, fondato nel 1997, vanta, nel suo complesso, 546 miliardi di dollari di asset in gestione (di cui circa 43 miliardi di dollari in capo al “braccio” Ares Alternative Credit).

L’operazione di ENI si inserisce in una traiettoria che il Cane a sei zampe e il governo italiano hanno intrapreso da tempo: quella di privatizzare gli asset strategici con il fine non solo di “ottimizzare” la struttura del capitale delle aziende, ma anche, in ultima analisi, di utilizzare i fondi ricavati per finanziare la spesa pubblica. ENI, il colosso energetico fondato da Enrico Mattei, è controllato per il 30% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, attraverso Cassa Depositi e Prestiti SpA (CDP SpA) ed è protetto da Golden power, lo strumento normativo che conferisce all’esecutivo la facoltà di porre condizioni o veti in caso di tentativo d’acquisto di una compagnia strategica italiana da parte di una società straniera. La presenza di questa tutela sugli asset strategici non ha impedito all’attuale governo di concedere l’autorizzazione per la vendita di azioni di minoranza: il 24 ottobre del 2024, ad esempio, Eni e il fondo statunitense KKR hanno firmato il contratto per l’ingresso di KKR nel 25% del capitale sociale di Enilive, una controllata di ENI che fornisce prodotti decarbonizzati. Pochi mesi dopo, a stretto giro, il Cane a sei zampe ha ceduto un altro pezzo della sua controllata che si occupa di mobilità sostenibile al medesimo fondo attraverso la vendita del 5% del capitale sociale della compagnia. Precedentemente, il governo Meloni, in continuità con il governo Draghi e con quasi tutti i governi precedenti, aveva autorizzato la vendita al fondo statunitense KKR  della rete primaria e secondaria delle telecomunicazioni di TIM, azienda coperta da Golden Power a partecipazione statale.

Dopo essersi dichiarati contro le privatizzazioni durante l’opposizione e in campagna elettorale, il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, e l’esecutivo hanno spiegato senza giri di parole che l’obiettivo è quello di ricavare 20 miliardi in tre anni dalla vendita di quote di società pubbliche. Meloni ha osservato che si tratta di un «lavoro che si può fare con serietà, senza compromettere il controllo pubblico». Intanto però le società strategiche italiane sono sempre più nell’orbita dei fondi finanziari statunitensi e la vendita di aziende chiave per la sicurezza nazionale a fondi e cordate straniere porta a termine quel progetto di privatizzazione degli asset pubblici, pilastro della dottrina neoliberista, volto a ridurre l’influenza dello Stato nell’economia a favore dei grandi investitori finanziari internazionali. Sebbene ENI mantenga la maggioranza in Plenitude, anche l’ultima operazione del colosso energetico italiano coinvolge un potente fondo statunitense e rientra in questa logica di ingerenza dei fondi privati in società chiave per la sicurezza e lo sviluppo nazionale.

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Giorgia Audiello

Laureata in Economia e gestione dei beni culturali presso l'Università Cattolica di Milano. Si occupa principalmente di geopolitica ed economia con particolare attenzione alle dinamiche internazionali e alle relazioni di potere globali.

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