venerdì 20 Giugno 2025

Come i media celebrano gli attacchi israeliani all’Iran come una lotta contro il “male”

C’era una volta la fiaba dell’aggressore e dell’aggredito. C’era una volta il principio basilare del giornalismo: riportare i fatti, verificarli, contestualizzarli. Questo avveniva in illo tempore, prima che la deontologia si schiantasse contro il muro dell’ideologia. Oggi la stampa italiana ha archiviato anche l’ultimo brandello di decenza professionale, per trasformarsi in un megafono entusiasta della guerra preventiva di Israele contro l’Iran, avallando la retorica bellicista di Tel Aviv come se stesse raccontando la finale di Champions League.

Vediamo velocemente alcuni esempi:

  • Bombe democratiche. Israele attacca l’Iran. Guerra al male. Un avvertimento ai regimi in nome della democrazia (Il Giornale, 14 giugno 2025);
  • Guerra inevitabile: Israele si difende e fa il lavoro sporco anche per noi (Il Giornale, 15 giugno);
  • Liberaci dal male e Guerra Iran-Israele ‘durerà almeno due settimane’: Netanyahu stronca la spina dorsale del regime di Khamenei (Il Riformista, 14 giugno);
  • Uccidere Khamenei. Netanyahu: ‘Abbiamo il controllo dei cieli, senza l’ayatollah la guerra finisce’ (Repubblica, versione cartacea, 18 giugno 2025);
  • Finalmente! L’Iran delle belve sta per cadere! (Libero, versione cartacea, 18 giugno).

E si potrebbe continuare all’infinito. Basta una veloce carrellata per osservare come in questi giorni i quotidiani italiani abbiano archiviato ogni parvenza di obiettività e si siano accodati, come megafoni di guerra, alle voci politiche, abbracciando la causa dell’aggressore (Israele), per deprecare, se non addirittura plaudire, alla malasorte dell’aggredito (l’Iran).

Presentando le azioni militari “preventive” di Tel Aviv come una missione di liberazione morale e politica, i mezzi di (dis)informazione di massa giustificano il conflitto e auspicano apertamente l’intervento americano e il cambio di regime iraniano. La narrazione è ormai talmente smaccata da far impallidire perfino i manuali di propaganda bellica: Israele agisce “per difesa preventiva” contro un Iran demonizzato a uso e consumo di un pubblico infantilizzato, da anni nutrito a suon di slogan sulla fantomatica “minaccia nucleare iraniana” – una minaccia, per inciso, smentita persino dall’intelligence americana e dall’AIEA.

Ma la verifica delle fonti è roba da vecchi cronisti: oggi vige la cronaca a tifo sfrenato, che ribalta la realtà se questa osa non accordarsi ai desiderata di Tel Aviv e dei suoi menestrelli.

Pensiamo a la Repubblica: «Uccidere Khamenei». Titolo da prima pagina, degno di un manifesto bellico, non di un quotidiano che pretende ancora di essere autorevole. In un’Italia dove il giornalismo è ormai ancella della geopolitica occidentale, la testata sdogana l’idea dell’omicidio mirato di un Capo di Stato come se fosse il gol della vittoria ai supplementari.

Nel sottotitolo: «Abbiamo il controllo dei cieli, senza l’Ayatollah la guerra finisce» – parole di Netanyahu, riprese senza contraddittorio, senza contestualizzazione, senza il minimo sforzo di problematizzazione. Anzi, con una compiacenza che gronda ammirazione per la presunta onnipotenza israeliana.

La violenza verbale nel trattare il conflitto tra Israele e Iran si riverbera in quasi tutte le testate mainstream, come se fossero l’appendice di un giornale unico. Veniamo così al giornalismo da curva sud.

Libero, per esempio, usa un linguaggio emotivo e polarizzante, descrivendo l’Iran come un regime brutale (“belve”) e celebrando la sua presunta caduta come un risultato positivo delle azioni israeliane. Il quotidiano presenta il conflitto in maniera manichea, come una lotta tra il bene (Israele) e il male (Iran), finendo per esultare come un hooligan: finalmente, le “belve” iraniane stanno per essere annientate.

Niente analisi geopolitica, niente domande su cause, conseguenze, legittimità, diritto internazionale: solo giubilo tribale. Il messaggio è netto: Israele bombarda? Bene. Più bombe, più morti, più “liberazione”.

Lo stesso approccio viene usato a più riprese da il Riformista, che il 14 giugno 2025, nel pezzo Liberaci dal male, descrive gli attacchi israeliani come «attacchi chirurgici» contro il «regime sanguinario degli ayatollah, i lapidatori di donne col velo messo male». L’articolo sposa acriticamente la versione di Netanyahu e sottolinea che Israele starebbe agendo per il bene comune, liberando l’Iran da un regime oppressivo.

Non poteva mancare alla carrellata Il Foglio: La prima resa necessaria: gli utili idioti degli ayatollah(18 giugno), dove si invoca apertamente l’intervento dei bombardieri americani.

Dello stesso tono è Il Giornale che, in un’intervista di Stefano Zurlo (Guerra inevitabile. Israele si difende e fa il lavoro sporco anche per noi), presenta il giornalista Pigi Battista mentre difende le ragioni di Israele, usando il registro dell’empatia e del pietismo: «Teheran vuole l’atomica per distruggere l’entità sionista. Cosa dovrebbero fare gli ebrei, aspettare di essere sterminati?».E, intanto, a essere sterminati sono la logica e i civili iraniani. Il giorno prima è Alessandro Sallusti, sempre dalle colonne de Il Giornale, a parlare esplicitamente di «guerra al male» e di «bombe democratiche», celebrando la superiorità morale di Israele e i suoi attacchi come una lotta contro il “male” rappresentato dal regime iraniano. Le bombe diventano così “democratiche” e fungono da monito ai regimi autoritari. Orwell, scansati. Quella che una volta era chiamata “informazione” oggi assomiglia a un bollettino trionfalistico. Nessuna analisi sui motivi reali dell’attacco israeliano; nessuna discussione sulla legalità delle operazioni preventive; nessuna voce critica sul rischio che l’escalation degeneri in una guerra su larga scala in Medio Oriente. I giornali italiani sembrano funzionare come terminali secondari del portavoce IDF. L’Iran, che sta reagendo agli attacchi e non li ha avviati, viene ridotto a caricatura del Male Assoluto, pronto a essere sacrificato nel nome della “liberazione” occidentale.

La stampa, piegata e servile, recita il suo ruolo con zelo imbarazzante. Così l’Italia assiste, impotente e ormai assuefatta, allo smantellamento del giornalismo critico. La regola aurea è semplice: Israele ha sempre ragione. Chi osa dissentire viene tacciato di “antisemitismo”. E così, mentre i missili piovono su Teheran e il rischio di un conflitto mondiale si fa sempre più concreto, i nostri quotidiani sfornano titoli urlati, moralismi puerili e una totale, desolante assenza di pudore. Il quarto potere? Sepolto sotto le macerie dell’autocensura, della pavidità e della propaganda di guerra.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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2 Commenti

  1. Se l’Iran avesse continuato a impiccare gli oppositori nei giardini pubblici e tutto il resto, quello che hanno cantato, pianto e denunciato le grandi poetesse iraniane dissidenti, ma non avesse pensato ad armi nucleari Israele avrebbe continuato a fare soltanto stragi di bambini. Sempre “lavoro sporco”, anzi molto sporco ma senza alibi

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