Un’unica immagine composta da oltre 10.000 esposizioni, quasi 800.000 galassie osservate e un catalogo liberamente accessibile con le loro proprietà principali: è il risultato di COSMOS-Web, ritenuta la più ampia mappa dell’universo primordiale mai realizzata, ottenuta grazie al telescopio spaziale James Webb (JWST). La fotografia, presentata recentemente e frutto del più grande programma di osservazione condotto dal JWST nel suo primo anno di attività, copre un’area pari a tre lune piene e rappresenta un balzo in avanti per la comprensione dell’evoluzione delle galassie. A guidare il progetto, un team di quasi 50 scienziati coordinati da Jeyhan Kartaltepe – del Rochester Institute of Technology e Caitlin Casey – dell’University of California – che ha reso disponibile anche un visualizzatore interattivo per esplorare liberamente i dati. «È stato incredibile rivelare galassie prima invisibili, ed è stato molto gratificante vederle finalmente apparire sui nostri computer», commentano gli esperti.

Il programma COSMOS-Web è stato selezionato come osservazione generale principale per il primo anno di attività del telescopio spaziale James Webb, lanciato nel 2021. Il progetto ha ottenuto il maggior numero di ore di osservazione, pari a circa 250, e si inserisce nel contesto del Cosmic Evolution Survey (COSMOS), un’iniziativa avviata nel 2007 che coinvolge più di 200 ricercatori. A differenza di altri studi JWST, che si concentrano su aree molto ristrette ma profonde del cielo, COSMOS-Web ha privilegiato la dimensione dell’area osservata: 0,54 gradi quadrati con la Near Infrared Camera (NIRCam) e 0,2 con il Mid Infrared Instrument (MIRI), pari a una porzione di cielo grande circa quanto tre lune piene. Si tratta di un’ampiezza che ha permesso di studiare le galassie in un arco temporale di oltre 13 miliardi di anni – analizzando la loro evoluzione strutturale, morfologica e fisica – e che ha permesso la creazione del catalogo COSMOS2025, accessibile pubblicamente, che contiene dati dettagliati sulla fotometria, la forma, il redshift e altri parametri fisici delle galassie. I ricercatori, poi, hanno anche utilizzato tecniche di apprendimento automatico per stimare con maggiore precisione le proprietà fisiche dei corpi celesti.

Tra le principali finalità del progetto, spiegano gli scienziati, vi era lo studio dell’epoca della reionizzazione – un periodo avvenuto oltre 13 miliardi di anni fa, durante il quale la luce delle prime galassie dissipò la nebbia primordiale di idrogeno – e l’analisi delle strutture cosmiche nei primi due miliardi di anni. Per farlo, gli scienziati hanno trattato le galassie come “traccianti” della distribuzione della materia e hanno utilizzato il JWST per raggiungere una profondità osservativa superiore alle attese. «La realtà si è rivelata migliore: siamo riusciti ad andare più in profondità di quanto ci aspettassimo», spiega Kartaltepe, aggiungendo che grazie al contributo dello strumento MIRI, è stato inoltre possibile studiare la massa delle galassie primordiali e caratterizzarne l’attività stellare nel tempo cosmico, superando i limiti imposti dall’estinzione della polvere cosmica. La costruzione del catalogo, aggiungono gli esperti, ha richiesto un lungo lavoro di squadra, dalla correzione degli artefatti nelle immagini all’allineamento con i dati preesistenti, per un totale di 150 visite osservative e oltre 10.000 immagini singole. «Abbiamo dati e cataloghi di cui siamo assolutamente certi», aggiunge Kartaltepe, «e non posso esagerare nell’enfatizzare quanto il settore sia cambiato». La mappa interattiva è consultabile cliccando su questo link.