venerdì 13 Giugno 2025

Uno studio svela la sorprendente struttura sotterranea dell’Etna

Sotto l’Etna, il vulcano più grande e attivo d’Europa, si nasconde una struttura mai osservata prima con tale precisione: una rete di fratture piene di magma, disposte in modo radiale tra i 6 e i 16 chilometri di profondità. È quanto emerge da uno studio condotto dal Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment, che ha permesso per la prima volta di ricostruire l’orientamento delle fratture e lo stato di stress – cioè le spinte a cui sono sottoposte le rocce – nel cuore del vulcano. Il tutto grazie all’analisi di oltre 37.000 segnali sismici raccolti in dieci anni, riuscendo a ottenere una sorta di “TAC” del sottosuolo. «Lo studio apre la strada a nuove ricostruzioni dello stress crostale», spiega il coautore Gianmarco Del Piccolo, aggiungendo che i risultati mostrano che il magma non risale in modo casuale, ma segue dei percorsi preferenziali che potrebbero aiutare a capire – e un giorno forse prevedere – le future eruzioni.

Per capire meglio cosa succede sotto un vulcano come l’Etna, gli scienziati si affidano alla sismologia, cioè allo studio delle onde che attraversano il sottosuolo quando la Terra trema. Proprio come una radiografia usa i raggi X per osservare l’interno del corpo umano, così le onde sismiche – registrate durante i terremoti – possono essere utilizzate per “vedere” dentro la crosta terrestre. Le onde viaggiano più lentamente o più velocemente a seconda dei materiali attraversati e, se incontrano magma o fratture aperte, il loro comportamento cambia. Si tratta di un effetto che si chiama “anisotropia elastica”, ovvero una variazione della velocità delle onde in base alla direzione, e può rivelare informazioni preziose sullo stato delle rocce e sul movimento dei fluidi sotterranei. Il metodo usato dal team di Padova ha permesso di stimare con grande precisione l’orientamento delle fratture e le forze in gioco, tenendo anche conto del margine di incertezza: un aspetto essenziale per rendere i risultati più affidabili.

In particolare, secondo i risultati ottenuti, lo studio ha rivelato che sotto il fianco sud-orientale dell’Etna esiste una zona in cui il magma si accumula a pressione elevata, creando un sistema di fratture verticali – chiamate dicchi – che si diramano come i raggi di una ruota. Si tratta di strutture che formano dei veri e propri canali sotterranei e che guidano la risalita del magma verso i crateri sommitali e verso le bocche laterali, contribuendo così all’attività eruttiva. Secondo le osservazioni, la zona è caratterizzata da un sistema di stress molto eterogeneo e stabile, rimasto invariato per almeno un decennio. «Riteniamo che il metodo sviluppato possa avere un forte impatto sulla predicibilità delle vie preferenziali di migrazione del magma e dei fluidi in crosta, oltre che su una generale comprensione dell’effetto dello stress in ambienti crostali come zone sismogenetiche, campi geotermici, campi petroliferi e molti altri», conclude il coautore Manuele Faccenda, aggiungendo che questa tecnica potrebbe essere applicata anche in altri contesti geologici attivi – come aree sismiche, geotermiche o petrolifere – contribuendo così ad una migliore comprensione del comportamento della crosta terrestre e, nel caso dei vulcani, a una gestione più consapevole del rischio.

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Roberto Demaio

Laureato alla facoltà di Matematica pura ed applicata dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Autore del libro-inchiesta Covid. Diamo i numeri?. Per L’Indipendente si occupa principalmente di scienza, ambiente e tecnologia.

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