mercoledì 11 Giugno 2025

Bufera negli USA: 400 farmaci approvati dalla FDA non avrebbero gli standard richiesti

Una inchiesta durata due anni, condotta dai giornalisti Jeanne Lenzer e Shannon Brownlee e pubblicata da The Lever, solleva enormi dubbi sul ruolo e l’integrità della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia statunitense incaricata, tra le altre cose, di approvare la messa in circolazione di nuovi farmaci. Centinaia di questi verrebbero infatti immessi sul mercato senza prove concrete della loro reale efficacia e, talvolta, persino dopo che la loro inutilità è stata dimostrata. Il cuore del problema risiede spesso nel meccanismo delle cosiddette “approvazioni accelerate” (Accelerated Approval Pathway), ideato per velocizzare l’accesso a farmaci potenzialmente salvavita per condizioni gravi o rare. Tuttavia, come rivela l’inchiesta, questo percorso è diventato una scorciatoia che elude standard di efficacia rigorosi. Un sistema che dimostra come il profitto venga sempre prima di ogni cosa, salute compresa.

La FDA ha approvato centinaia di farmaci non basandosi su risultati clinici concreti e dimostrabili, come una maggiore sopravvivenza a una malattia o un miglioramento della qualità della vita, ma bensì attraverso un procedimento accelerato che fa affidamento su indicatori indiretti o misurazioni di laboratorio (i cosiddetti “endpoint surrogati”). Sono 253 i farmaci approvati attraverso tale percorso accelerato tra il 2008 e il 2021. Di questi, ben 112 (il 44%) non avevano ancora dimostrato un beneficio clinico diretto anche otto anni dopo l’approvazione, mentre i restanti 42 si trovavano ancora in commercio dopo 10 anni senza prova di efficacia. Ciò significa che i pazienti potrebbero assumere per anni farmaci costosi e potenzialmente con effetti collaterali, senza alcun reale beneficio terapeutico. Un esempio eclatante citato è quello di Aduhelm, un farmaco per l’Alzheimer, approvato contro il parere del proprio comitato consultivo scientifico, solo per essere successivamente ritirato a causa della mancanza di prove di efficacia e per i costi esorbitanti.

Come riportato nell’inchiesta, solo 3 su 123 farmaci antitumorali approvati tra il 2013 e il 2022 hanno soddisfatto tutti e quattro gli standard scientifici di base della FDA. La maggior parte (81%) è stata approvata sulla base di endpoint surrogati come il restringimento tumorale, senza alcuna prova che migliorassero la sopravvivenza o la qualità della vita. Copiktra, per esempio, un farmaco approvato nel 2018 per i tumori del sangue, è stato approvato dalla FDA sulla base di una migliore “sopravvivenza senza progressione”, senza quindi nessun effetto visibile e collegabile. 

Secondo Lenzer e ìBrownlee, la “promessa” dietro le approvazioni accelerate era quella che le aziende farmaceutiche avrebbero dovuto condurre studi di conferma post-marketing per dimostrare l’efficacia clinica – dunque, una sorta di sperimentazione di massa. Molte aziende hanno ritardato o non completano mai questi studi e la FDA si è mostrata incredibilmente lenta nel ritirare i farmaci inefficaci dal mercato. Tra il 1992 e il 2023, solo 10 farmaci approvati con questo percorso sono stati ritirati per mancanza di efficacia. Il tempo medio per il ritiro, quando questo si verifica, è di sei anni. Sia le procedure in messe in atto che i ritardi spaventosi fanno sollevare seri interrogativi sull’operato dell’agenzia e sulla sua capacità di proteggere i cittadini una volta che un prodotto è sul mercato.

D’altronde, la FDA si affida a dati forniti dalle stesse aziende farmaceutiche, che conducono i propri studi e determinano la loro conclusione. L’agenzia, poi, non conduce test indipendenti e non è autorizzata a farlo dalla legge. Questa dipendenza dal settore che dovrebbe regolamentare crea un conflitto di interessi endemico e porta la ricerca di profitto ad avere la meglio sulla rigorosità scientifica. Questo non solo aumenta i costi della sanità, ma erode anche la fiducia nella scienza medica e nelle istituzioni regolatorie.

Le implicazioni di questo sistema sono gravi. Non solo i pazienti vengono esposti a farmaci inefficaci, ma le loro tasche e i sistemi sanitari vengono prosciugati. Le assicurazioni, inclusi i programmi federali come Medicare e Medicaid, sono costrette a rimborsare farmaci la cui utilità non è provata, trasformando il pubblico pagante in un involontario finanziatore di quelli che, di fatto, diventano test clinici di massa su persone ignare. Tutto questo ci dovrebbe interrogare sulla possibilità di profitto privato in certi settori, come appunto quello della salute e della sanità, dove anche coloro che dovrebbero tutelare il cittadino si trasformano in strumenti utili alle aziende per accelerare i profitti.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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1 commento

  1. La FDA è in mano alle case farmaceutiche, l’ EMA pure. I nostri rappresentanti istituzionali se non sono in mano alle case farmaceutiche lo sono molto spesso ad altri potentati economici. Il cittadino-paziente è sempre più “cornuto e mazziato”. E poi c’è gente che si meraviglia se il popolo dà in escandescenza.

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