venerdì 6 Giugno 2025

Al via la Global March: migliaia di persone a piedi per rompere l’assedio di Gaza

Inizierà il 13 giugno la marcia che dal Cairo vuole raggiungere il valico di Rafah, in protesta contro il genocidio in corso e per chiedere l’apertura della frontiera e il passaggio degli aiuti umanitari. Una marcia globale in solidarietà con il popolo palestinese, una marcia “via terra, via mare e via aria” che vedrà migliaia di persone di 35 Paesi camminare per 50 km fino alle porte di Gaza, nel tentativo di rompere l’assedio imposto dall’esercito israeliano da oltre un anno. La marcia partirà appena dieci giorni dopo la Freedom Flottilla, salpata domenica 1° giugno dal porto di Catania carica di aiuti umanitari, sfidando nuovamente via mare il blocco illegale di Tel Aviv dopo che appena un mese fa un’altra delle loro imbarcazioni era stata attaccata al largo delle coste maltesi da un drone di Israele.

«Global March To Gaza è un movimento apartitico e pacifista» dice Antonietta Chiodo, la referente italiana per la Marcia globale a L’Indipendente. «Siamo un gruppo di persone provenienti da paesi e culture diverse che hanno scelto di portare la voce di persone comuni in prima linea perché siamo convinti che quella del popolo sia stata silenziata per troppo tempo e che sia arrivato il momento di tornare in prima linea. Un singolo individuo non può cambiare il mondo ma milioni di persone si, possono farcela. La marcia rappresenta l’esodo del popolo palestinese, camminare e dormire sotto le stelle è ciò che la popolazione di Gaza subisce da troppo tempo, senza cibo e acqua e in condizioni disumane».

Alla marcia parteciperanno delegazioni da 35 Paesi del mondo. Per ora il gruppo italiano ha ricevuto 400 moduli di adesione; le iscrizioni chiuderanno il 5 giugno e i moduli si trovano sul canale Telegram dell’iniziativa. Secondo Antonietta, con il sostegno dei Paesi arabi la previsione globale è di raggiungere almeno le 5.000 persone. «Il nostro obiettivo primario è ridare fiducia nei popoli, nelle persone comuni, fare comprendere che nonostante la politica ci stia ignorando o voglia silenziarci oggi viviamo un periodo storico molto pericoloso, dove i diritti umani ed il diritto internazionale sono stati sgretolati e infangati. Noi abbiamo l’obbligo nei confronti di chi è stato ucciso, di chi è prigioniero e soprattutto nei confronti dei nostri figli di fermare questa mattanza e ridimensionare il potere. Siamo persone comuni che non accettano di essere considerate solo quando si aprono le votazioni per eleggere un partito. Noi esistiamo e lo proveremo tutti insieme, porteremo questo messaggio a Rafah».

L’organizzazione è complessa: i compiti sono stati divisi tra i vari gruppi nazionali, con un grande sostegno da parte dei gruppi solidali egiziani. Da settimane sono state inoltrate le richieste di permesso per raggiungere Rafah al Cairo; per ora le autorizzazioni non sono state concesse, ma nemmeno negate. Se non verranno rifiutate esplicitamente la marcia proverà a partire. Altrimenti probabilmente il governo egiziano si ritroverà 5000 persone nella capitale, a protestate sotto le sedi del potere internazionale e nazionale. «Non sarà una passeggiata: abbiamo informato tutti i partecipanti della possibilità di essere rimpatriati o di non potere superare i check point nel Sinai. Questo è dovuto all’indifferenza dei politici italiani, sarebbe forse bastato avere un parlamentare che marciasse con noi per ottenere tutti i passaggi. Le persone dovranno compilare il modulo online che è pubblicato sui nostri social, questo è importante per ottenere sostegno legale e logistico, poi verranno ricontattati via mail per una conferma ulteriore e messi in contatto con i referenti di regione; da lì in poi verranno seguiti fino all’arrivo al Cairo. Come ben sappiamo, la causa palestinese per molti è diventata propaganda e quindi probabilmente il sapere che non avranno un podio da esporre sui social media ha portato i politici italiani a voltarsi dall’altra parte, senza rendersi conto dell’enorme errore che stanno commettendo. Perché gli italiani questo lo ricorderanno».

I solidali si ritroveranno all’aeroporto del Cairo il 12 giugno: il 13 partiranno in bus verso Al-Arish, nel Sinai, per poi proseguire a piedi fino a raggiungere al valico di Rafah e accamparsi lì davanti. Il rientro in Italia è previsto per il 20 di giugno. «I palestinesi, compresi quelli della Cisgiordania, sono topi in gabbia a cui è negato da sempre di potere conoscere il mondo. Il Valico di Rafah è l’unico budello di congiunzione con Gaza per uscire; ho documentato negli anni passati come reporter l’umiliazione di chi si accampava al valico in attesa di uscire nonostante fosse stato approvato il permesso mesi prima, e per giorni vi erano donne, uomini, anziani e bambini sdraiati per terra in attesa di questa apertura. C’è una vergogna più grande di questa? Non penso. Il valico va aperto, non si può tenere in ostaggio una popolazione» conclude Antonietta Chiodo.

Intanto, nella Striscia di Gaza, la mattanza continua. I bombardamenti israeliani stanno uccidendo decine di sfollati al giorno, continuando a distruggere tutte le infrastrutture civili. La monopolizzazione della distribuzione degli aiuti alle ong americane ha trasformato anche quei momenti in violenze contro la popolazione, con spari sulla folla e morti. Mentre vecchi e bambini continuano a morire di fame.

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Moira Amargi

Moira Amargi esiste ed è una persona specifica, ma il nome è uno pseudonimo, usato quando pubblica report sulla Palestina o dall'interno di cortei e momenti di conflitto sociale a rischio repressione. È stata corrispondente per L'Indipendente dai Territori Palestinesi occupati.

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