venerdì 6 Giugno 2025

A Pescara un uomo è morto dopo essere stato colpito con un taser dalla polizia

Erano le 11 del mattino di martedì 3 giugno quando la Polizia di Stato ha deciso di procedere con l’arresto di Riccardo Zappone, cittadino italiano di 30 anni, che sarebbe rimasto coinvolto in un alterco per strada. Secondo quanto dichiarato dagli agenti, l’uomo avrebbe opposto resistenza all’arresto, motivo per il quale è stato usato contro di lui il taser. Da quanto risulta dalle prime ricostruzioni della Procura di Pescara, non sarebbe stata chiamata un’ambulanza per verificare lo stato di salute dell’uomo, nè sarebbero stati effettuati accertamenti medici. Zappone sarebbe stato portato direttamente in Questura, dove ha accusato un malore. Inutile, a quel punto, l’intervento del 118: l’uomo è morto per arresto cardio-circolatorio poco dopo, in ospedale. Sulla vicenda sono attualmente incorso le indagini della Procura, che stabiliranno se l’uso della pistola elettrica sia direttamente correlato al decesso dell’uomo.

Seppure non vi sia ancora certezza in merito a tale correlazione, l’impiego del taser è da tempo fortemente criticato da gruppi e associazioni proprio per il rischio di conseguenze mortali che implica. Il taser è infatti classificato come arma “non letale”, che funziona tramite una scarica di 63 microcoloumb di energia per un periodo di 5 secondi volta a indurre una temporanea paralisi nella persona. Introdotto in Italia in via sperimentale dal primo governo Conte, con un decreto legge firmato dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, l’uso dell’arma è stato approvato definitivamente nel 2020 in 12 città con popolazione superiore ai 100 mila abitanti. A partire dal 14 marzo 2022, l’arma è stata data definitivamente in dotazione agli agenti di 18 città italiane: secondo l’allora ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, questo «costituisce un passo importante per ridurre i rischi per l’incolumità del personale di polizia impegnato nelle attività di prevenzione e controllo del territorio». E quest’anno, con l’approvazione di un emendamento (fortemente voluto dalla Lega) al decreto Milleproroghe, è stata autorizzata l’estensione dell’utilizzo del taser in forma sperimentale a tutti i Comuni con meno di 20 mila abitanti.

Tuttavia, le conseguenze dell’impiego di tali armi possono essere tutt’altro che “non letali”, in particolare se utilizzate su soggetti con funzionalità cardiaca compromessa da patologie dall’utilizzo di alcool o droga nel momento in cui si viene colpiti, oppure dal fatto che il cuore si trovi sotto sforzo per via di una semplice corsa o una colluttazione. È il caso, per esempio, dell’uomo deceduto a Bolzano poco dopo che la polizia ha impiegato contro di lui il taser. Nel momento in cui ha ricevuto la scarica, l’uomo era sotto effetto di droghe, eppure l’autopsia ha rilevato che la morte sarebbe sopraggiunta a causa della «assunzione di cocaina che ha comportato un evento cardiaco acuto di tipo aritmico o vasospastico», ritenendo «altamente improbabile un ruolo del taser nel decesso». Un caso simile è avvenuto a Roma. Sebbene non esista un registro preciso di decessi direttamente conducibili all’uso del taser, Amnesty riporta che, solamente negli Stati Uniti e in Canada, dove l’arma viene usata sin dall’inizio degli anni 2000, sono oltre un migliaio i decessi causati direttamente o indirettamente da essa. Nel 90% dei casi, le vittime erano disarmate.

Secondo vari studi, inoltre, la pistola elettrica sarebbe non solo inefficace, ma anche controproducente. L’Università di Cambridge ritiene che in realtà il taser abbia aumentato (quasi raddoppiato) il rischio che la polizia usi la violenza e che gli agenti vengano aggrediti. Anche la sua pericolosità è data sostanzialmente per assodata: la stessa ditta produttrice riconosce un rischio di morte dello 0,25%. Nonostante ciò, sono almeno 80 i Paesi le cui forze di sicurezza impiegano tale arma. Secondo un recente rapporto di Amnesty, basato su indagini condotte tra il 2014 e il 2024 in oltre 40 Stati, governi e aziende stanno sempre più implementando l’utilizzo di dispositivi a scarica elettrica «per infliggere maltrattamenti o torture». La produzione e il commercio «indiscriminati» di tali dispositivi rende necessaria l’adozione «di un trattato globale giuridicamente vincolante» che ne regolamenti l’uso. Secondo l’inchiesta dell’organizzazione, tali dispositivi vengono infatti utilizzati senza controllo al fine di reprimere le proteste (come accaduto diffusamente negli Stati Uniti lo scorso anno, nell’ambito delle rivolte studentesche contro il genocidio in Palestina) o di mantenere l’ordine nelle strutture carcerarie o per migranti, oltre che essere impiegate contro soggetti ad alto rischio di danni gravi quali bambini, anziani, donne incinte e persone sotto effetto di droghe. «Il crescente uso improprio delle armi a scarica elettrica», scrive Amnesty, è alla base di «gravi lesioni», quando non della morte, di numerosi soggetti in tutto il mondo, dato grave se si considera che per lo più «vengono usate contro persone che non pongono alcun rischio di violenza». E l’utilizzo improprio di tali strumenti, sostiene da anni l’organizzazione, si può classificare come «tortura».

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.

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