venerdì 30 Maggio 2025

Nicoletta Dosio torna libera dopo un anno di domiciliari per la lotta NO TAV

Martedì 27 maggio, con un giorno di ritardo rispetto a quanto previsto, Nicoletta Dosio, storico volto dell’attivismo NO TAV, è tornata in libertà dopo un anno di domiciliari passati presso la propria abitazione a Bussoleno. «Ai domiciliari fai i conti con l’ingiustizia sociale», ci dice l’ex insegnante. «Psicologicamente è stato tutto molto pesante, ma pensavo a chi deve vivere condizioni più precarie delle mie». Quella di Dosio, 79 anni, è una vicenda di lotta e resistenza iniziata nel 2015, quando a causa di alcuni tafferugli con le forze dell’ordine le vennero contestati reati di violenza contro pubblico ufficiale e devastazione e applicate misure cautelari di restrizione della libertà personale. Lei, in un atto di disobbedienza civile, decise di non rispettarli, uscendo comunque di casa. Malgrado l’anno dopo la Cassazione le diede ragione, le 130 “evasioni” messe in atto dalla donna durante i mesi in cui avrebbe dovuto scontare le misure cautelari le valsero una condanna di un anno e nove mesi di domiciliari, poi diventato uno, appena terminato.

Nicoletta Dosio doveva venire liberata lunedì 26 maggio, ma i domiciliari le sono stati revocati il giorno dopo perché le autorità non si sono presentate a casa sua. La sua vicenda risale al luglio 2015, quando si svolse una grande manifestazione in Val di Susa, per ricordare la “riconquista” da parte del Movimento della baita della Maddalena, avvenuta il 3 luglio 2011. Nel 2015 la manifestazione partì da Exilles con l’obiettivo di attraversare le vigne, passare davanti ai cancelli della centrale idroelettrica, dai quali si accedeva all’area del cantiere (distante circa un chilometro e mezzo), e arrivare infine a Chiomonte, dove si sarebbero tenuti concerti e altre iniziative. Una volta arrivato davanti ai cancelli, il corteo si trovò la strada sbarrata da un gran numero di jersey e agenti in tenuta antisommossa, che iniziarono a lanciare lacrimogeni verso i manifestanti. Investito da un’ondata di lacrimogeni, il corteo decise di tornare indietro e provare ad arrivare a Chiomonte passando dalla statale, ma anche per quella via la strada era sbarrata dai jersey, che vennero tirati giù da un gruppo di anziani tra cui era presente proprio Dosio. Alla riuscita di quel gesto seguì qualche momento di concitazione, che si concluse con una ventina di denunciati, tra i quali Dosio, per violenza contro pubblico ufficiale, devastazione e altri reati, per i quali furono disposte le misure cautelari – in misura diversa per ciascuno.

La comunicazione le arrivò un anno dopo, quando la Digos le entrò in casa perquisendola e riferendole di un obbligo di firma quotidiano, che lei decise di violare. Dalle firme si passò così all’obbligo di dimora, anch’esso scientemente violato dalla donna per protestare contro delle misure preventive ritenute ingiuste, perché mosse senza che fosse aperto un processo contro di lei e disposte sulla base della presunzione dei reati contestatile. Reati che, ammise la stessa Cassazione, Dosio non commise. Il 30 dicembre del 2016, infatti, a seguito del ricorso presentato dai suoi avvocati, la Cassazione stabilì, in prima istanza, che non vi fossero prove sufficienti a sostegno delle accuse di violenza per i fatti del 2015 e decretò la revoca delle misure cautelari. L’accusa venne alla fine derubricata a danneggiamento, con una multa di 800 euro.

In parallelo, tuttavia, si svolse il processo per le “evasioni” commesse da Dosio durante il periodo in cui avrebbe dovuto osservare le misure cautelari. Il 6 giugno dello scorso anno venne condannata a un anno e nove mesi di domiciliari, poi diventato uno. Questa volta Dosio decise di rispettare la misura, rimanendo a casa per restare al fianco del marito, Silvano Giai, anche lui storico attivista del movimento NO TAV, deceduto l’anno scorso a causa di una grave malattia. Proprio nello stesso periodo in cui perse il marito, le arrivò un richiamo formale da parte dei carabinieri. Le sue colpe risiedevano in una mancata risposta al campanello alle 2 di notte: gli agenti si presentarono infatti a casa sua per verificare che si trovasse in casa. «Hanno citofonato ma non ho risposto, perché Silvano era morto da appena un’ora. La mia testa era altrove», ci dice l’attivista. «La repressione è anche questa».

In questo anno Dosio è stata «strettamente controllata». Ogni volta che doveva fare qualcosa «anche per andare dal medico o in Comune» (cosa dovuta, visto che ricopre la carica di consigliera comunale), era tenuta a chiedere l’autorizzazione in Tribunale. Nessuno è potuto andare a trovare né lei, né il marito Silvano quando stava male. «Ai domiciliari non ci sono solo i diretti interessati», ricorda infatti la donna, «ma anche tutta la famiglia, che non può ricevere nessuno». «In carcere quantomeno si crea un minimo di comunità, per quanto distorta. Ai domiciliari sei completamente solo», aggiunge l’attivista. Questo «rinnova con forza la mia idea che il carcere andrebbe abolito e, che andrebbe sostituito con la giustizia sociale», ci dice. «Lo Stato deve smettere di mandare in prigione i poveri perché cercano di sopravvivere».

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.

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