venerdì 30 Maggio 2025

Con le mani contro il muro: la tradizione basca nel gioco della pelota

Una mano colpisce con forza una pallina facendola impattare su un muro. Lo schiocco risuona nel campo, e, sotto gli occhi attenti degli spettatori seduti sulle gradinate, l’avversario risponde colpendo nuovamente la palla. Nel Paese basco è possibile assistere a una scena simile praticamente ovunque: nelle piazze principali dei paesi e delle città basche, come in apposite strutture al coperto, si trovano i pilotaleku, i muri, tradotti in italiano con il termine «frontoni», dove si svolgono le partite della euskal pilota, la palla basca. 

L’origine di questo sport risulta complessa da decifrare. Sono presenti in varie parti del mondo testimonianze che dimostrano come questo gioco, per certi versi semplice, sia stato praticato fin dall’antichità in varie forme e con vari strumenti. Secondo gli storici, però, la diffusione di una versione embrionale di questo sport risale all’epoca romana, quando la pila giunse nell’attuale territorio francese. Le fonti attestano che in epoca medievale in tutta la Francia era praticato uno sport simile, nel quale si utilizzavano diversi strumenti per colpire la palla, che con il tempo avrebbe poi dato vita alla pallacorda e al Jeu de Paume. Altre testimonianze invece confermano che già dal XIII secolo il gioco della pilota era estremamente rilevante nel Regno di Navarra, dove la pratica includeva, oltre all’uso dei guanti in vimini, anche le mani. Nel corso dei secoli, a causa della colonizzazione delle Americhe protratta anche dai coloni provenienti dalle province basche, lo sport raggiunse il continente sudamericano, suscitando rapidamente grande interesse nella popolazione. 

Fu nel secolo XX che la euskal pilota sfociò nel professionismo. Rese ormai ufficiali le quattro versioni, differenziate dall’utilizzo degli strumenti, le competizioni si diffusero in tutto il mondo, la pilota entrò a far parte dell’edizione dei Giochi Olimpici del 1900 (per poi uscirne a causa del divieto olimpico di ospitare sport professionistici) e nel 1952 viene istituito il campionato del mondo, che nel 2030 celebrerà la sua XXI edizione tra le città di Bilbo e Gernika. 

Sebbene la versione più diffusa sembri essere quella con il jai alai (o zesta-punta), una cesta concava in vimini con la quale si raccoglie la palla al volo per poi scagliarla contro il muro, la modalità di gioco più rappresentativa e sentita dal popolo basco è sicuramente quella con le mani, la esku-huskako pilota.

La palla, colpita rigorosamente con le mani nude, è composta da tre strati, il primo di gomma, il secondo di lana e il terzo di cuoio. Durante la partita si possono affrontare due contendenti in singolo o quattro in due coppie, che, senza limiti di tempo, devono colpire la pallina con la mano, senza trattenerla, verso il muro. Se la pallina rimbalza due volte o viene colpita in punti specifici del muro, il punto va alla squadra avversaria. 

La società basca è strettamente legata alla tradizione della pilota, tanto che tutti gli atleti e le atlete che nel corso dei decenni hanno portato ai titoli vinti dalla nazionale spagnola, vantano origini basche. A riguardo, nel dicembre del 2024 la Federazione Internazionale della Palla Basca ha riconosciuto, scatenando non poche polemiche da parte di alcuni settori della politica spagnola, l’ufficialità della selezione nazionale di Euskal Herria, che per il campionato mondiale del 2030, oltre a ospitare la competizione, potrà vedere per la prima volta in campo i giocatori e le giocatrici vestire la maglia con i colori della ikurrina, la bandiera basca. 

Nel corso dei decenni i pilotaleku sono stati teatro di contestazioni politiche. Nel settembre del 1970, a Donostia si inaugurava il campionato mondiale di Palla Basca, con la presenza del dittatore spagnolo Francisco Franco; un uomo, Joseba Elosegi, si lanciò dagli spalti avvolto dalla bandiera basca in fiamme, prontamente spenta da uno dei giocatori presenti in campo. Elosegi, poi divenuto consigliere del Partito Nazionalista Basco (PNV-EAJ), spiegò che quel gesto, che lo portò a scontare sette anni di carcere, voleva portare il fuoco che distrusse Gernika davanti agli occhi di chi lo provocò. Nel 1978, invece, durante l’inaugurazione del campionato mondiale di Biarritz, nel Paese basco del nord (situato nel territorio francese), la delegazione dell’Unidad Popular, esiliata durante gli anni di Augusto Pinochet a Parigi, promise un’azione di boicottaggio nel caso in cui la nazionale del Cile avesse sfilato con la propria bandiera. Per risolvere il contenzioso l’organizzazione del mondiale proibì l’utilizzo di ogni bandiera nazionale, eccetto quella dello Stato ospitante. A sventolare nel campo di Biarritz, però, invece del tricolore francese, fu l’ikurrina basca.

La palla basca è un gioco teoricamente semplice. Anche grazie alla sua immediatezza, nel corso dei secoli ha appassionato e avvicinato sempre più persone, dando vita a varianti e modalità peculiari diffuse oggi in tutto il mondo. Nella cultura popolare è stato raccontato svariate volte, dalle serie televisive al cinema mainstream, nonostante sia indubbiamente un gioco «di nicchia», lontano dai business milionari presenti in altri sport. Per il paese basco, però, la pilota rappresenta molto di più. Lontano dalle prime pagine dei giornali e dai notiziari generalisti, questo sport è il legame tra un popolo e la sua storia millenaria. Lo sguardo dei tifosi sugli spalti che segue con attenzione la palla schiantarsi più volte sul muro è stato incorniciato da vari contesti sociopolitici, dalla colonizzazione della Corona spagnola del territorio basco, agli eccidi delle milizie franchiste, per passare poi agli anni delle stragi, del terrorismo di Stato e dell’eroina. Poter finalmente vedere i giocatori e le giocatrici con la maglia con i colori dell’ikurrina, è indubbiamente il sogno di un’indipendenza ottenuta al momento solo tra i campi di questo sport. Nonostante il passare dei secoli, il suono dello schiocco della palla sul muro è sempre lo stesso, il suono della libertà basca.

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Armando Negro

Laureato in Lingue e Letterature straniere, specializzato in didattiche innovative e contesti indipendentisti. Corrispondente da Barcellona, per L’Indipendente si occupa di politica spagnola, lotte sociali e questioni indipendentiste.

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