venerdì 30 Maggio 2025

I disegni delle aziende per sostituire l’IA ai dipendenti non stanno andando come previsto

Da quando è esploso il fenomeno dell’intelligenza artificiale generativa, l’azienda fintech Klarna e l’edutech Duolingo hanno annunciato in pompa magna l’intenzione di trasformarsi in realtà “AI first”, puntando a sostituire progressivamente dipendenti e collaboratori umani con agenti chatbot. A differenza di molte altre imprese, le due entità commerciali non hanno cercato di adottare un profilo basso: al contrario, hanno posto questa scelta al centro della loro comunicazione, scommettendo apertamente sul successo di una filiera lavorativa semiautomatizzata. Ambo le aziende hanno poi deciso di fare marcia indietro, o quantomeno di ricalibrare in modo significativo le proprie strategie. 

Complice l’instabilità crescente dei mercati finanziari globali, molte aziende stanno sfoltendo il proprio organico nella speranza che l’IA sia in grado di colmare i vuoti lasciati da una forza lavoro ridimensionata. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i vertici dirigenziali evitano con attenzione di narrare questa dinamica come una forma di sostituzione: preferiscono muoversi silenziosamente e parlare di “ridefinizione” delle strutture o di una “semplificazione” dei processi lavorativi. Klarna e Duolingo hanno infranto ogni tacita convenzione, proponendosi esplicitamente come casi studio nell’integrazione dell’intelligenza artificiale come possibile alternativa — se non addirittura rimpiazzo — al lavoro umano.

Il caso Klarna

Nel febbraio 2024, la società svedese di servizi finanziari online Klarna e OpenAI hanno celebrato con enfasi i risultati della loro collaborazione basata su ChatGPT: l’intelligenza artificiale copriva ormai il 75% dell’assistenza ai clienti, svolgendo autonomamente una dose di lavoro equivalente a quella esercitata da 700 impiegati. “Sono convinto che l’IA sia già oggi in grado di svolgere tutti i lavori che noi, come umani, facciamo”, aveva dichiarato il CEO di Klarna, Sebastian Siemiatkowski. Un’affermazione che non è passata inosservata, anche perché, due anni prima, l’azienda aveva fatalmente licenziato proprio 700 dipendenti. Una coincidenza, a quanto pare: i portavoce di Klarna hanno tenuto a precisare a Entrepreneur che l’introduzione dell’intelligenza artificiale non sia direttamente collegata a quei tagli di personale.

All’inizio di maggio, Siemiatkowski ha però compiuto un parziale dietrofront, annunciando il ritorno a nuove assunzioni umane. “Sembra sfortunatamente che il contenimento dei costi sia finito con l’essere un fattore di valutazione troppo predominante nelle scelte organizzative, con il risultato che si è finiti con l’avere una qualità inferiore”, ha dichiarato a Bloomberg. “Per noi, investire nella qualità del supporto umano è la strada per il futuro”. Klarna, come azienda, adotta un linguaggio più sfocato, specificando di essere ancora orientata alla filosofia “AI first” e di portare avanti una politica di non sostituzione dei dipendenti uscenti.

Il futuro di Klarna, dunque, torna a contemplare l’elemento umano — ma in una forma più flessibile e decentralizzata. L’azienda sta infatti testando un modello definito “in stile Uber”: una struttura manageriale nella quale collaboratori freelance lavorano da remoto, organizzando autonomamente i propri turni. Siemiatkowski descrive l’esperimento con entusiasmo, sottolineando che in futuro potrebbe addirittura capitare che gli stessi clienti finiscano con il diventare operatori del servizio. Klarna offre soluzioni di credito “compra ora, paga dopo” con requisiti meno rigidi rispetto a quelli imposti dalle banche tradizionali — una formula che attrae, tra gli altri, anche fasce economicamente vulnerabili, spesso spinte a ricorrere a questo tipo di finanziamento per acquistare beni di prima necessità.

Il caso Duolingo

Nell’aprile del 2025, il software per l’apprendimento online di lingue straniere Duolingo ha annunciato tramite una nota affidata a LinkedIn la sua trasformazione in un’azienda “AI First”. “L’intelligenza artificiale sta già cambiando il modo in cui si lavora”, ha scritto il CEO Luis von Ahn. “Per insegnare bene, dobbiamo creare una quantità enorme di contenuti e farlo manualmente non è scalabile. Una delle decisioni migliori che abbiamo preso di recente è stata sostituire il lento processo manuale di creazione dei contenuti con un sistema alimentato dall’IA”. Nel suo intervento, von Ahn ha anche sottolineato che l’azienda continua a valorizzare il contributo dei suoi dipendenti e che non intende sostituirli con agenti artificiali.

La notizia non è giunta del tutto inaspettata: negli ultimi anni, Duolingo ha passato gli ultimi anni a ridurre progressivamente il numero di traduttori e autori, molti dei quali erano collaboratori esterni. Già nel 2023, nel pieno del boom di passione per i chatbot, l’azienda aveva iniziato a non rinnovare i contratti di diversi team. L’anno successivo, la nuova direzione intrapresa dalla società è diventata ancora più esplicita: il CEO ha ammesso che la creazione dei contenuti si appoggiava sempre più frequentemente all’IA generativa, quindi l’azienda ha comunicato l’intenzione di tagliare circa il 10% delle collaborazioni. “Semplicemente, non abbiamo più bisogno di tutte quelle persone per svolgere i compiti che alcuni collaboratori svolgevano in passato”, ha dichiarato un portavoce dell’impresa a Bloomberg. “Parte di quel lavoro può essere affidata all’IA”.

Il passaggio all’intelligenza artificiale è stato accolto con favore dagli investitori e dal Mercato, ma molto meno dal personale e dagli utenti. Questi ultimi si erano fidelizzati all’app anche grazie alla peculiare direzione artistica e narrativa che aveva reso unica l’esperienza di Duolingo. Una parte consistente del successo dell’app derivava infatti dal modo in cui venivano presentati i corsi: con personaggi ricorrenti, dotati di personalità distinte e relazioni tra loro, protagonisti di brevi vicende che, pur nella loro semplicità, riuscivano a creare engagement e dinamiche quasi “social”. Negli ultimi anni, Duolingo si è piuttosto focalizzata su nuove strategie di monetizzazione e sul cavalcare una campagna marketing tanto virale e provocatoria da arrivare a far morire (temporaneamente) la sua mascotte-gufo, investita da un veicolo Cybertruck. Gli utenti, nel frattempo, hanno cominciato a segnalare un calo nella qualità complessiva del servizio, tanto nei contenuti quanto nell’esperienza d’uso.

La netta virata verso l’automatizzazione non ha dunque rassicurato né i lavoratori, i quali si sentono sempre più esposti, né gli utenti, preoccupati che l’IA possa amplificare le criticità già percepite. Il riscontro è stato decisamente negativo, al punto da spingere von Ahn a intervenire nuovamente su LinkedIn per chiarire la posizione dell’azienda: “Non vedo l’IA come uno strumento per sostituire il lavoro dei nostri dipendenti (anzi, stiamo continuando ad assumere allo stesso ritmo di prima)”. Tuttavia, ha ribadito la necessità di anticipare i cambiamenti: “non so esattamente come evolverà l’intelligenza artificiale, ma so per certo che cambierà in modo radicale il nostro modo di lavorare, ed è essenziale prepararsi in anticipo”. Il fatto che von Ahn sia convinto che le intelligenze artificiali saranno in grado di insegnare qualsiasi cosa, mentre le scuole servono principalmente come luoghi di assistenza per l’infanzia, rivela uno sguardo piuttosto chiaro su quale sia il suo punto di vista.

La natura delle due aziende

Nonostante i formali passi indietro, è difficile ignorare l’ambiguità con cui sia Klarna che Duolingo continuano a posizionarsi rispetto all’adozione dell’intelligenza artificiale e al ruolo da loro attribuito agli agenti umani coinvolti nei compiti più esposti alla sostituzione tecnologica. Dopo una fase iniziale caratterizzata da dichiarazioni roboanti e suggestioni futuristiche, entrambe le aziende sembrano ora ripiegate su un più sobrio linguaggio corporativo, senza tuttavia smentire la volontà – nemmeno troppo celata – di ridefinire il rapporto con il mercato del lavoro. Un’evoluzione prevedibile, anche perché la spettacolarizzazione degli annunci iniziali sembrava meno orientata a comunicare scelte operative concrete e più a catalizzare l’attenzione mediatica e finanziaria. In un contesto in cui gli investitori si mostrano ancora oggi fortemente attratti da tutto ciò che ruota attorno all’IA, questo tipo di esposizione strategica diventa un asset comunicativo, più che un manifesto ideologico.

Ambo le aziende devono trovare nuove risorse economiche e consolidare quelle già presenti per alimentare i rispettivi modelli. Klarna, fondata su un sistema di prestiti istantanei, ha costruito il suo mercato su un target spesso caratterizzato da fragilità economiche e scarsa alfabetizzazione finanziaria. Naturalmente, il servizio è stato utilizzato per finanziare spese quotidiane – dai pasti nei fast-food alla spesa di chi fatica ad arrivare a fine mese – da utenti strutturalmente incapaci di onorare i propri debiti, se non creando ulteriore indebitamento. Il risultato è che, mentre cresce la diffusione del servizio, aumentano anche le perdite dovute all’insolvenza: una spirale che mette in discussione la sostenibilità stessa del modello.

Diversa, ma altrettanto complessa, è la posizione di Duolingo. L’azienda ha saputo puntare con successo sulla ludicizzazione dei contenuti per promuovere i suoi abbonamenti premium, tuttavia si trova oggi a fronteggiare un interrogativo più profondo: ha ancora senso il suo servizio in un’epoca in cui una parte crescente dell’utenza si affida direttamente ai chatbot per apprendere nuove lingue? Duolingo non ha mai avuto la pretesa di offrire un’istruzione linguistica d’eccellenza – per quella, resta imprescindibile l’intervento umano di un docente – ma si è rivolta a un pubblico in cerca di leggerezza e gratuità. Ed è proprio questo pubblico che oggi sembra orientarsi verso soluzioni come ChatGPT, capaci di offrire interazioni più flessibili, immediate e maggiormente persuasive. In questo contesto in rapida trasformazione, Duolingo vuole evitare di fare la fine di colossi come Blockbuster, annientati dall’obsolescenza, ma anche rassicurare gli investitori dimostrando loro che l’azienda ha ancora una traiettoria credibile e che può rimanere rilevante anche nell’ecosistema dominato dall’IA.

IA e lavoro, aspettative e realtà

Con l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa, si è molto parlato del rischio di come questi modelli potessero distruggere intere professionalità. Nel tempo, ha prevalso l’interpretazione secondo cui l’IA rappresenta un valido strumento di supporto per i lavoratori, tuttavia questa si dimostra ancora un sostituto profondamente inadeguato. Nonostante ciò, molti CEO hanno mostrato interesse nell’utilizzare chatbot per tagliare drasticamente i costi del personale. Già nel 2023, Goldman Sachs stimava che 300 milioni di posti di lavoro tra Stati Uniti e Unione Europea sarebbero stati a rischio automazione. Nel 2024, McKinsey ha alzato la previsione: entro il 2030, 375 milioni di lavoratori potrebbero essere sostituiti da sistemi intelligenti. In sostanza, le reali capacità degli strumenti disponibili e le aspettative delle classi dirigenti non sempre coincidono.

Ora che l’iniziale fase di tecno-entusiasmo sembra essere parzialmente rientrata, iniziano ad emergere i primi dati concreti sull’integrazione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. Un recente working paper pubblicato dal National Bureau of Economic Research ha a esempio analizzato l’impatto dell’IA sui lavoratori in Danimarca, paese noto per la trasparenza nell’adozione tecnologica. In tal senso, i ricercatori hanno definito che l’introduzione dei chatbot non ha generato miglioramenti significativi in termini di retribuzione, né ha portato a un incremento sostanziale della produttività. I lavoratori intervistati percepiscono i chatbot come strumenti utili per migliorare la qualità del lavoro, ma segnalano anche una soddisfazione professionale molto bassa. L’intelligenza artificiale, infatti, automatizza alcuni compiti, ma ne introduce di nuovi: il tempo effettivamente risparmiato si traduce in una riduzione media dell’orario di lavoro di appena il 2,8% — circa 25 minuti al giorno — che nell’80% dei casi vengono impiegati per svolgere altre mansioni. Solo il 10% dichiara di sfruttare il tempo ricavato per prendersi una pausa.

Parallelamente, un sondaggio condotto da IBM su 2.000 CEO ha rivelato che solo il 25% delle aziende che hanno investito nell’IA è riuscita a ottenere un ritorno sull’investimento. Eppure, la corsa all’automazione non accenna a rallentare, tutt’altro: i dirigenti continuano a vedere l’intelligenza artificiale come una questione di sopravvivenza e prevedono di destinare risorse sempre maggiori al settore, convinti che i benefici economici, prima o poi, arriveranno. L’85% dei CEO è convinto che le risorse investite nell’IA possano rispettare il ritorno di investimento originariamente stimato entro il 2027.

In generale, secondo ricercatori e accademici, la discrepanza tra aspettative e risultati economici è spiegabile con il fatto che ci si sta confrontando con una tecnologia del tutto nuova: il mondo del lavoro si sta adattando in modo disordinato, senza linee guida chiare e con una comunicazione inefficace tra le parti coinvolte. Si naviga a vista, con velocità di implementazione molto diverse da settore a settore. A tutto questo si aggiunge un dato meno tecnico ma altrettanto rilevante: la scarsa soddisfazione lavorativa e la mancanza di opportuni ritorni economici stanno alimentando fenomeni come il ghostworking, evoluzione naturale del quiet quitting. Se quest’ultimo consiste nel limitarsi a svolgere le proprie mansioni senza esercitare alcuno sforzo straordinario, il ghostworking descrive chi finge di lavorare per soddisfare una cultura aziendale che premia l’apparenza dell’operosità più della reale produttività, spesso spingendo i dipendenti verso l’esaurimento.

Secondo un’indagine pubblicata nel febbraio 2025 da Resume Now, il 58% dei dipendenti ammette di fingersi regolarmente impegnato, mentre il 34% lo fa occasionalmente. Il dato più eloquente è però un altro: il 92% dichiara di consultare annunci di lavoro durante l’orario lavorativo. Se l’IA consente di risparmiare qualche minuto, perché mai un impiegato dovrebbe immolarsi alla causa aziendale, visto che mancano incentivi economici adeguati e il clima interno è deteriorato da una gestione inefficiente? Forse una risposta arriva ancora da Resume Now: il 69% dei lavoratori ritiene che sarebbe più produttivo se il datore di lavoro monitorasse attivamente il proprio terminale. “Sebbene il monitoraggio possa sembrare invasivo”, si legge nel rapporto, “molti lavoratori riconoscono che potrebbe aiutarli a sentirsi più responsabili. Tuttavia, la sorveglianza da sola non risolve problemi più profondi come obiettivi poco chiari, scarsa motivazione o cattiva comunicazione”.

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Walter Ferri

Giornalista milanese, per L’Indipendente si occupa della stesura di articoli di analisi nel campo della tecnologia, dei diritti informatici, della privacy e dei nuovi media, indagando le implicazioni sociali ed etiche delle nuove tecnologie. È coautore e curatore del libro Sopravvivere nell'era dell'Intelligenza Artificiale.

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4 Commenti

  1. Se l’unico problema della IA è la qualità offerta, non è un reale problema; da secoli la qualità del lavoro, della produzione artistica, di qualsiasi cosa è in caduta; si tratta solo di indottrinare la gente ad accettare la nuova normalità non offrendo alternative; e poiché siamo tendenzialmente stupidi e senza cultura accetteremo anche iprodotti della IA… Non ci sarà alcun arretramento nell’adozione della IA perché il capitale vuole così, e potrà così.

  2. Ottimo articolo, complimenti. La IA ha un vizio di fondo che nell’ attuale momento storico non è sanabile. È stata creata da un sistema capitalistico per aumentare la velocità (turbo) del profitto pensando che un biturbo sia ancora più efficiente. Errore fatale. Ma i gestori (i soliti noti) del sistema finanziario stanno correndo ai ripari cercando di infatuare i futuri consumatori ( ignari e/o imbecilli) con la promessa, falsa, di un futuro migliore ( per loro sicuramente) per l’ Umanità. La tecnica di persuasione è sempre la stessa: è quel mantra ripetitivo quotidiano che sentiamo sui media di regime ( aumento della CO2 e surriscaldamento climatico, i lock down necessari, le vaccinazioni salva-vita, il motore elettrico senza emissioni, l’ uguaglianza tra i sessi (sic!), l’ antisemitismo dilagante, il riarmo, etc.,etc…). Dovesse fallire questa strategia “soft’ passeranno alla linea dura: “l’ acquisizione ” dei dirigenti politici dei vari governi che con leggi ad hoc convinceranno volenti e nolenti della assoluta bontà della IA.

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