giovedì 29 Maggio 2025

Secondo una ricerca la metà dei giovani vorrebbe crescere in un mondo senza internet

Quasi la metà degli adolescenti preferirebbe vivere in un mondo privo di internet, mentre un numero analogo vorrebbe addirittura l’introduzione di un “coprifuoco digitale” per i social media: è quanto emerge da una nuova indagine condotta su 1.293 giovani tra i 16 e i 21 anni e pubblicata dal BSI, l’ente britannico di normazione, in occasione della plenaria 2025 del Comitato ISO per le politiche dei consumatori. Secondo i risultati, oltre i due terzi degli intervistati hanno riferito di un peggioramento del proprio stato d’animo dopo il tempo trascorso online, tendenza riscontrata anche in coloro che possiedono un’elevata familiarità con la tecnologia. Questi chiedono limiti, maggiore protezione e leggi più severe per tutelare la loro salute mentale e la loro privacy. «Il fatto che quasi la metà dei giovani preferisca crescere senza Internet dovrebbe essere un campanello d’allarme per tutti noi. Abbiamo l’opportunità di reinventare il mondo digitale in cui crescono i nostri figli. La loro salute mentale e il diritto a un’infanzia sana e sicura devono venire prima del profitto», commentano gli autori del rapporto.

Il BSI (British Standards Institution) è l’organismo nazionale di normazione del Regno Unito e si occupa di definire standard per la qualità, la sicurezza e la sostenibilità di prodotti e servizi, compresi quelli digitali. In occasione della sessione plenaria 2025 dell’ISO COPOLCO — il Comitato internazionale per la politica dei consumatori — il BSI ha pubblicato uno studio dedicato all’esperienza digitale degli adolescenti. L’indagine, condotta su un campione rappresentativo di giovani britannici tra i 16 e i 21 anni, mirava a comprendere l’impatto della tecnologia sulla loro quotidianità soprattutto dopo la pandemia da Covid-19, la quale ha spinto il 74% degli intervistati a trascorrere più tempo online. Lo studio rivela che, sebbene i ragazzi dichiarino un buon livello di consapevolezza sulle impostazioni di privacy e sul funzionamento degli algoritmi, molti adottano comportamenti rischiosi e chiedono interventi strutturali per migliorare l’ambiente digitale. Tra le misure proposte: verifiche dell’età obbligatorie, limitazioni all’uso notturno delle piattaforme e un maggiore impegno da parte delle aziende nel progettare tecnologie “a misura di adolescente”.

In particolare, i dati raccolti hanno mostrato una quotidianità dominata dalla dimensione virtuale: il 45% dei giovani passa oltre tre ore al giorno sui social, mentre solo il 49% dedica meno di due ore ad attività creative o sportive. Il 43% ha iniziato a usare i social prima dei 13 anni, aggirando i limiti legali, e il 40% ha creato account falsi. Preoccupante anche la discrepanza tra ciò che i giovani dichiarano e ciò che i genitori sanno, visto che il 42% degli intervistati ammette di mentire su quanto fa online. In molti casi poi, secondo quanto rilevato, la rete diventa un vero e proprio luogo dove si costruiscono identità fittizie e si compiono scelte rischiose, come la condivisione della posizione con sconosciuti, tendenza rilevata nel 29% dei partecipanti. «La tecnologia può essere positiva solo se sostenuta dalla fiducia che privacy, sicurezza e benessere non vengano compromessi», ha commentato Susan Taylor Martin, amministratrice delegata del BSI. Anche Daisy Greenwell, poi, fondatrice dell’iniziativa “Smart Phone Free Childhood”, ha sottolineato la necessità di un cambiamento profondo, affermando che «abbiamo costruito un mondo digitale pensato per tenere incollati i ragazzi, ma ora sono loro a chiedere limiti e tutele reali». Secondo il 79% degli intervistati, infatti, le aziende tecnologiche dovrebbero essere obbligate per legge a integrare misure robuste di protezione della privacy, mentre il 48% chiede un supporto attivo per imparare a proteggersi online.

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Roberto Demaio

Laureato alla facoltà di Matematica pura ed applicata dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Autore del libro-inchiesta Covid. Diamo i numeri?. Per L’Indipendente si occupa principalmente di scienza, ambiente e tecnologia.

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1 commento

  1. Già, come scrisse oltre 10 anni fa Julian Assange, internet è il nemico. Però, però… Il pericolo di dipendenza dai media digitali e’ sicuramente evidente ma non vorrei che la terapia fosse peggio della malattia. Una regolamentazione posta dall’ alto e richiesta da fasce di utenti che per la loro ” naturale” esposizione ai rischi della vita sono più suscettibili allo “stress digitale” è più pericolosa che non la diffusione di notizie pluraliste, anche se non sempre corrette, che dovranno successivamente essere verificare. In questa “società liquida” (cit Z. Bauman), molte informazioni corrette, democratiche ed anti-sistema non ci sarebbero state (lock down, COVID 19, vaccini a mRna) e non ci saranno in futuro, con gli inasprimenti di controllo sui social media e sull’informazione digitale, da parte di governi che sempre più hanno scelto la via autoritaria per imporre restrizioni ai diritti civili dei propri cittadini con l’ orribile scusa di farlo per aumentarne la sicurezza…

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