«Le istituzioni dell’UE non sono riuscite a far valere la propria influenza politica, diplomatica ed economica per migliorare la situazione a Gaza». È questo il duro atto d’accusa al centro della lettera firmata da circa 2.400 funzionari europei e rivolta ai vertici dell’UE. A redigerla sono stati i membri del gruppo “EU Staff for Peace”, che, a un anno esatto dal loro primo appello, tornano a denunciare pubblicamente la paralisi morale e istituzionale dell’Unione davanti a una delle peggiori crisi umanitarie del nostro tempo. Una presa di posizione che soltanto adesso – a quasi due anni dall’inizio del genocidio a Gaza, con una popolazione decimata e affamata da mesi a causa delle azioni dell’esercito israeliano nell’enclave – raccoglie un’ampia adesione.
Nel maggio 2024, lo stesso gruppo di funzionari — provenienti dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e da diverse agenzie dell’Unione — aveva scritto ai presidenti delle tre principali istituzioni comunitarie, chiedendo una svolta politica nella gestione della crisi in Medio Oriente. Oggi, a distanza di un anno, la situazione non solo non è migliorata, ma è drammaticamente peggiorata: oltre 54mila le vittime a Gaza, secondo fonti ONU, e circa 1,5 milioni di persone sull’orlo della fame a causa dei blocchi israeliani degli aiuti umanitari. La nuova missiva, inviata nei giorni scorsi ai vertici UE, critica duramente le istituzioni europee, accusandole di aver «contribuito al clima di irresponsabilità che ha portato all’invasione su vasta scala della Striscia di Gaza in atto in questo momento». Per i firmatari, la risposta dell’Unione si è rivelata non solo insufficiente, ma anche tardiva.
«L’annuncio recente della revisione dell’accordo di associazione UE-Israele – a 20 mesi dall’inizio del conflitto, mentre migliaia di bambini rischiano la fame per il rinnovato blocco degli aiuti umanitari – solleva serie preoccupazioni sull’adeguatezza e sulla tempistica della risposta dell’Ue», ha dichiarato Zeno Benetti, uno dei co-autori della lettera. Il riferimento è alla decisione comunicata pochi giorni fa dall’Alta rappresentante per la politica estera Kaja Kallas di avviare una revisione dell’accordo commerciale tra Bruxelles e Tel Aviv, siglato nel 2000. Una mossa sollecitata da 17 dei 27 Stati membri, che potrebbe portare alla sospensione della partecipazione israeliana ai programmi europei di ricerca scientifica. Nell’appello, il gruppo EU Staff for Peace parla di una mossa «devastantemente tardiva per le migliaia di persone uccise a Gaza».
Tra le richieste già avanzate nel 2024 — e ribadite anche all’interno della nuova lettera — figurano la sospensione dell’accordo di associazione, il blocco delle esportazioni di armi verso Israele da parte dei Paesi UE e il pieno sostegno alle inchieste in corso della Corte penale internazionale e della Corte internazionale di giustizia. Proprio su quest’ultimo punto si concentra l’indignazione dei firmatari, i quali denunciano un «apparente doppio standard» delle istituzioni, accusandole di non prendere posizione contro i leader che hanno scelto di mantenere relazioni diplomatiche con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, attualmente ricercato dalla CPI per «crimini contro l’umanità e crimini di guerra». L’Ungheria, ad esempio, ha ospitato Netanyahu in visita di Stato per quattro giorni lo scorso aprile. La Polonia aveva preso in considerazione l’idea di invitarlo alla commemorazione della liberazione di Auschwitz, e il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha promesso di trovargli una via d’accesso «sicura» in Germania.
Il portavoce della Commissione, Balazs Ujvari, ha replicato affermando che i funzionari UE godono sì della libertà di espressione, ma questa deve essere esercitata tenendo conto di «una serie di obblighi derivanti dallo statuto del personale», evitando comunicazioni pubbliche. Nel frattempo, i membri del gruppo continuano a manifestare ogni giovedì durante la pausa pranzo davanti alle sedi del Consiglio europeo e della Commissione, a Bruxelles. Una presenza costante, simbolo di un dissenso (finalmente) crescente anche in seno alle istituzioni europee.