“Caccia all’ebreo”, “terrorismo antisemita”, “seme dell’odio antisemita”. Diversi quotidiani hanno dedicato l’apertura di ieri al brutale omicidio dei due diplomatici israeliani a Washington, compiuto da Elias Rodriguez, trentenne originario di Chicago, che ha aperto il fuoco su di loro all’uscita del Museo ebraico. Orrore antisemita negli Usa (Il Corriere della Sera); Uccidere gli ebrei in quanto ebrei (Il Foglio); L’incendio si propaga, Il salto di qualità dell’antisemitismo (Il Riformista); Terrorismo antisemita (Fanpage); La miccia dell’odio (Avvenire) sono alcuni dei titoli che campeggiano sulle prime pagine delle testate cartacee e online.
Tutti gli articoli elencati enfatizzano il clima di odio nei confronti degli ebrei, grazie a un’abile tecnica di sovrapposizione, per cui si continua a confondere l’antisionismo con l’antisemitismo. L’equazione, che si basa su false premesse, è che se critichi il sionismo o le politiche di Israele sei automaticamente un “antisemita” (e ciò vale persino per gli ebrei).
Si stanno inoltre usando alcune regole auree dell’ingegneria sociale: la distrazione dell’opinione pubblica dal genocidio; la tecnica dell’empatia, trattando la notizia in maniera “emotiva”, focalizzando l’attenzione sui dettagli della giovane coppia che possano creare una forma di empatia e parlare alla pancia delle persone; la teoria dello shock, facendo credere che il “seme dell’odio” possa straripare in Occidente e colpire chiunque, in qualunque momento; divide et impera, con la polarizzazione e l’appiattimento del dibattito; framing, ovvero la creazione di una cornice valoriale dispregiativa: chiunque critichi Israele è un “antisemita”. Si mettono in campo anche alcune fallacie logiche per colpevolizzare chiunque non empatizzi — non tanto con le vittime (il che è naturale) — quanto con Israele.
Fanpage, per esempio, definisce l’uccisione di Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim un «atto depravato di terrorismo antisemita», citando l’ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Danon. Questo schema viene ripetuto e utilizzato da anni per criminalizzare chiunque osi denunciare i crimini perpetrati da Israele. Oggi si sfrutta un caso di cronaca, collegando l’attentato a un clima di odio generalizzato contro gli ebrei, utilizzando — da Rights Reporter a Panorama — un linguaggio particolarmente forte ed evocativo: si parla di “seme dell’odio” o di “atto depravato” e, come nel caso de Il Messaggero, si sottolinea il rischio di emulazione in Europa, citando episodi recenti di antisemitismo.
Punta chiaramente all’emotività e ricorre alla tecnica dell’empatia Avvenire, che nel titolo Uccisi negli Usa. Yaron e Sarah credevano nel dialogo e volevano sposarsi a Gerusalemme rimarca il movente antisemita e sfrutta riferimenti espliciti alla coppia per parlare di un’istigazione antisemita su scala globale. A rispolverare l’uso delle fallacie per liquidare ogni possibile distinguo è Sergio Della Pergola che, intervistato da Avvenire, afferma che, sebbene Netanyahu stia gestendo la guerra «nel peggiore dei modi possibili», «essere contro Israele significa di fatto essere anti-ebrei».
Anche Linkiesta (A sangue freddo – Una coppia di funzionari israeliani è stata assassinata a Washington) punta a enfatizzare il carattere di crimine d’odio e il contesto antisemita. La Stampa e Rainews inseriscono ripetuti riferimenti a un contesto di odio globale, con accuse di istigazione all’antisemitismo. Repubblica ricostruisce la dinamica dell’attentato e sottolinea come le motivazioni politiche dell’assalitore si siano intrecciate con un antisemitismo esplicito e violento, definendo l’episodio come «una miscela esplosiva» tra militanza ideologica e odio etnico.
Su Il Foglio, Claudio Cerasa ribadisce che l’antisemitismo non nasce dal conflitto, ma da un’ideologia radicata che usa l’antisionismo come maschera. «La nuova emergenza globale», secondo Cerasa, è che oggi non ci si vergogna più di «odiare gli ebrei». Le parole hanno un peso, avverte su Repubblica Stefano Cappellini, e oggi assistiamo a fenomeni «che non sono ormai troppo lontani dalla caccia all’ebreo».
Per Fiamma Nirenstein (Il Giornale), che forse a causa di un colpo di sole si è persa il massacro di civili nella Striscia di Gaza, la sinistra ha contribuito a legittimare l’antisemitismo mascherandolo da antisionismo e diffondendo “fake news” e “accuse infondate” contro Israele. E, come da manuale, non manca una citazione sulla “banalità del male” di Hannah Arendt, inserita a caso come pennellata retorica.
Su Il Riformista, Giuliano Cazzola — lo stesso che auspicava l’uso dei cannoni di Bava Beccaris contro i “no vax” — contesta le accuse di crimini di guerra rivolte a Israele, invitando i “pacifisti” a rileggere la IV Convenzione di Ginevra, che non vieta di combattere in aree civili ma impone regole di protezione. Il colpo di teatro arriva però con l’editoriale di Claudio Velardi: in Il salto di qualità dell’antisemitismo, dopo aver insultato i lettori («Che vi aspettate, razza di pelosi ipocriti»), ci informa che a «Washington è accaduto quello che semplicemente doveva accadere, perché quando si semina odio si raccoglie tempesta». E potremmo continuare a lungo, con articoli pressoché fotocopia.
Quello che risulta evidente fino al parossismo è che i media stanno strumentalizzando l’omicidio della coppia di diplomatici israeliani per distrarre l’opinione pubblica dai crimini commessi da Israele nella Striscia di Gaza, deviando sapientemente l’attenzione su un atto certamente violento, un crimine efferato e deprecabile, che viene però descritto come un “atto di terrorismo antisemita”, appiattendo così il movente politico dell’assalitore a un più generico e irrazionale odio nei confronti degli ebrei.
Oggi, infatti, non si parla più degli spari a Jenin, delle critiche dell’UE a Israele o di genocidio: tutto è stato spazzato via da un’abile operazione di spin, che sfrutta un fatto di cronaca per deviare l’attenzione e colpevolizzare chiunque si permetta di fare dei distinguo, lanciandogli contro l’anatema di “antisemita”.
Gli articoli presi in esame livellano la complessità del contesto geopolitico in cui si è consumato il crimine: il focus sull’antisemitismo come movente principale trasforma l’evento in un attacco all’identità ebraica, anziché in un’azione motivata dalle politiche israeliane a Gaza. La volontà dichiarata è quella di generare empatia per Israele come vittima di un odio immotivato, distogliendo l’attenzione dalle crescenti critiche alle sue azioni militari a Gaza e alla sua sete di sterminio.
Purtroppo una amica ha litigato con me xchè non ho la TV e non leggo i giornali. Leggo e sono abbonata a l indipendente e quello leggo però sono un ignorante che non si informa. Questo esce dalle persone che si fanno impastare il cervello e il cuore dalle notizie dei media