Il cannabidiolo, composto privo di effetti psicotropi presente nella cannabis, si è dimostrato significativamente sicuro nei pazienti con rischio cardiovascolare e quindi potrebbe avere effetti benefici contro infiammazioni cardiache come miocardite e pericardite: è quanto emerge da uno studio clinico controllato condotto da un team internazionale di scienziati guidati dal Dott. Leslie Cooper e presentato al congresso Heart Failure 2025 della Società Europea di Cardiologia a Belgrado. Utilizzando una formulazione orale sperimentata in pazienti ricoverati per Covid-19 non grave, i ricercatori hanno scoperto che la tollerabilità del trattamento non ha provocato nessun aumento significativo di effetti avversi, il che, combinato con le proprietà già note del cannabidiolo nel trattamento di tali infiammazioni, sarebbe scientificamente “incoraggiante” riguardo a nuovi trattamenti che per queste condizioni sono ancora limitati: «Il GMP-cannabidiolo è stato complessivamente ben tollerato e, soprattutto, il tasso di effetti collaterali cardiaci è stato basso e simile rispetto al placebo. Questi dati sulla sicurezza sono incoraggianti, poiché sono in corso due studi più ampi che valutano l’efficacia e la sicurezza del GMP-cannabidiolo», ha commentato Cooper.
Attualmente, le opzioni per affrontare patologie infiammatorie del cuore come la miocardite e la pericardite sono piuttosto limitate. Si tratta di condizioni che colpiscono rispettivamente il muscolo cardiaco e la membrana che avvolge il cuore, che possono essere scatenate da infezioni virali o da una risposta infiammatoria alterata e che, spiegano i ricercatori, rappresentano un rischio significativo soprattutto per chi ha già una storia di malattie cardiovascolari. Il cannabidiolo — un componente non psicotropo della cannabis — aveva già mostrato in laboratorio la capacità di inibire la cosiddetta “via dell’inflammasoma”, ovvero un processo intracellulare coinvolto nella genesi di queste patologie. Rimaneva da verificare quindi la sua sicurezza d’uso e, per fare ciò, il team guidato da Leslie Cooper ha avviato uno studio su pazienti ricoverati per COVID-19 non grave, ma con pregressi problemi cardiovascolari o fattori di rischio noti. Gli autori hanno spiegato che la particolare scelta della pandemia come contesto è nata proprio dalla consapevolezza che l’infezione potesse indurre o aggravare infiammazioni cardiache. I pazienti, inoltre, sono stati randomizzati a ricevere il farmaco o un placebo, con l’obiettivo primario di monitorare la sicurezza del trattamento entro 60 giorni.
In particolare, lo studio è stato interrotto prima di raggiungere il numero previsto di partecipanti, a causa del calo dei ricoveri per COVID-19 idonei, ma in tutto sono stati inclusi 89 pazienti – con un’età media di 61 anni – suddivisi equamente tra chi ha ricevuto il cannabidiolo e chi ha assunto il placebo. Secondo i risultati, non sono emerse differenze rilevanti tra i due gruppi nel numero di eventi avversi: il cannabidiolo ha mostrato una frequenza di effetti collaterali simile a quella del placebo (24,4% contro 22,7%), così come per gli eventi gravi (11,1% contro 9,1%). Nonostante non si siano verificati decessi nel gruppo trattato, due pazienti del gruppo placebo invece sono deceduti per insufficienza respiratoria. Anche i disturbi più comuni — gastrointestinali, neurologici e respiratori — sono risultati pressoché equivalenti: «Il tasso di effetti collaterali cardiaci è stato basso e simile rispetto al placebo», ha commentato il dott. Cooper, definendo incoraggianti questi risultati preliminari ma avvertendo al tempo stesso alla cautela, visto che serviranno conferme più ampie. In tutti i casi, si tratta secondo gli autori di uno studio che ha aperto la strada a due importanti sperimentazioni attualmente in corso, le quali potrebbero potenzialmente aggiungere evidenze scientifiche cruciali a riguardo.