mercoledì 21 Maggio 2025

La lotta dei cittadini contro Solvay e il silenzio delle istituzioni: intervista a Lino Balza

Giornalista, scrittore, attivista, presidente del Movimento di Lotta per la Salute G. Maccacaro e direttore di Rete Ambientalista, Lino Balza è un volto storico della lotta contro la devastazione ambientale e sanitaria causata dalle attività della Solvay di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria. Le sue denunce contro l’azienda, iniziate dopo trent’anni di lavoro dipendente nell’azienda, gli sono costate ritorsioni quali cassa integrazione, trasferimenti, mobbing, demansionamento e licenziamento, oltre che una decina di cause, tutte vinte. Al momento, Balza si sta battendo strenuamente contro la richiesta di patteggiamento di Solvay per la causa relativa al disastro eco-sanitario dello stabilimento Spinetta Marengo, che permetterebbe all’azienda di chiudere il procedimento in anticipo senza dibattimento in cambio del pagamento di una somma in denaro (come già accaduto nel 2013, a Rosignano, per la questione degli scarichi abusivi in mare).  

Quali sono gli scenari futuri dopo la richiesta di patteggiamento di Solvay nella causa per il disastro eco-sanitario di Spinetta Marengo? 

È possibile che il patteggiamento segua lo stesso andamento di quello di Montecastello, Comune in provincia di Alessandria il cui acquedotto è stato chiuso nel 2024 per i PFAS e che si è accontentato di centomila euro per uscire dal processo, nel quale si era costituito parte civile. Solvay non ammetterà mai di star risarcendo qualcuno per le patologie da lei causate, nonostante da un monitoraggio effettuato dalla Regione Piemonte tramite il prelievo del sangue sia emerso che tutti i soggetti analizzati avessero PFAS nel sangue – compreso quello che produce solo Solvay, perché ne detiene il brevetto. Molte persone si sono ammalate di tumori a reni, testicoli, pancreas, tiroide, oltre ad aver sviluppato patologie legate al metabolismo. Questi soggetti, però, sono esclusi dal processo e quindi anche dal patteggiamento (o, meglio, dall’elemosina). All’inizio, l’imputazione nel processo era di disastro doloso, ma il tribunale l’ha poi derubricata a disastro ambientale colposo. Il procedimento è andato peraltro a colpire due pesci piccoli, due direttori anziché l’amministrazione dell’azienda. Per questo Solvay propone i patteggiamenti per evitare dibattimenti e udienze, perché le testimonianze potrebbero aggravare l’imputazione dell’azienda. 

A Rosignano la nuova amministrazione comunale ha dato il via alle procedure per effettuare uno studio epidemiologico sulla cittadinanza, che sarà effettuato dal CNR di Pisa. Le istituzioni pubbliche di Alessandria o della Regione Piemonte che posizioni hanno in merito a tali azioni? 

Ci sono state diverse indagini epidemiologiche nel corso di due decenni, di cui l’ultima nel 2019, dalle quali è emerso che la diffusione di alcuni tipi di tumori è qui altissima rispetto alla media regionale. Invece di condurre analisi su piccoli campioni di popolazione, come quelle effettuate dalla Regione, sarebbe essenziale un monitoraggio su vasta scala, ma non è mai stato fatto. Noi accusiamo da sempre la Regione di essere complice. Prima con Montedison, ora con Solvay. Hanno sempre impedito di realizzare monitoraggi di massa, perché il risultato sarebbe una pistola fumante contro l’industria e costituirebbe una forma di pressione pubblica nei confronti della Regione. Proprio questa pressione rischia di smorzarsi con il patteggiamento in corso: se la Regione Piemonte patteggia (al momento si parla di 600 milioni di euro), la questione si sgonfia e l’azienda ne esce pulita. Solvay ha bisogno di tempo, di alcuni anni ancora di produzione, poi deciderà lei se e quando chiudere. E lo farà senza dover pagare in cause civili e penali quello che uscirebbe fuori dal monitoraggio di massa. 

Anche i Comuni potrebbero patteggiare per chiudere la questione, anche se il sindaco ha il potere di emanare ordinanze con le quali chiudere le produzioni che ritiene siano un pericolo per la salute pubblica, sulla base di indagini epidemiologiche. Nel corso del tempo ho accusato tutti i sindaci che si sono succeduti ad Alessandria di essere complici di Solvay.

Secondo i dati dell’ARPA, poi, oltre agli PFAS ci sono 20 tipi di veleni che vanno a finire nell’aria, nel suolo, nelle falde e nei corsi d’acqua: tra questi, cromo esavalente, arsenico, nitriti, cloroformio, selenio, fluorurati, solfati e idrocarburi. Questi non vengono rilevati dal micro campionamento del sangue effettuato, né vengono cercati, anche se l’ARPA riferisce che le centraline che rilevano questi veleni abbiano registrato valori abnormi, sia nell’aria che nell’acqua. Si tratta di un inquinamento generalizzato, tra l’altro già dichiarato nel processo precedente. 

Il ministero dell’Ambiente si è costituito parte civile nel processo, ma questo governo si è rifiutato di emanare una legge nazionale che proibisse sostanze come gli PFAS. La lobby che sostiene le sostanze tossiche è molto potente, eppure alcuni Stati, come la Danimarca, hanno trovato il coraggio di andarle contro. In questo modo, sostanze come l’amianto e il DDT sono state eliminate. Anche in questo caso, un patteggiamento favorirebbe senz’altro Solvay, ma permetterebbe anche al governo di uscirne senza troppo sforzo.

In un simile contesto, le associazioni della società civile cosa chiedono?

Da un lato, abbiamo diffidato le istituzioni pubbliche dal partecipare ai tavoli di trattativa che favoriscono questo patteggiamento, perché in questo modo vengono estinti i reati penali e civili della contaminazione ambientale, non vengono riconosciute le vittime, le persone ammalate e quelle morte, né la reale entità dei risarcimenti. Dall’altro, abbiamo invitato la Procura a fermare il patteggiamento e lasciare che il processo vada avanti, senza tappare la bocca al dibattimento. 

Allo stesso tempo, è necessario fermare la produzione e l’utilizzo di sostanze tossiche e cancerogene, azzerare le emissioni e procedere con una seria procedura di bonifica a carico dell’azienda. Non come adesso, che Solvay dichiara di portare avanti la bonifica mentre il sito di produzione continua ad andare avanti. Così è come cercare di svuotare una vasca d’acqua lasciando il rubinetto aperto. La bonifica deve essere fatta con gli impianti di produzione chiusi.

Giungere alla redazione di una diffida congiunta insieme a tutti i comitati e le organizzazioni sociali è stato un grande risultato condiviso, perché una coesione simile non è sempre possibile. Spesso le persone hanno paura di esporsi e perdere il posto di lavoro: ad Alessandria, per esempio, non c’è una mobilitazione come quella di Vicenza, le condizioni sono diverse soprattutto perché a Spinetta Marengo si produce ancora.

Secondo lei vi è stata, negli anni, una adeguata copertura mediatica della situazione di Spinetta Marengo? 

Negli scorsi decenni a livello locale c’è stata una grande attenzione, poi personalmente ho iniziato a essere censurato, tanto da Montedison quanto da Solvay. Il motivo è stato chiaro quando sono uscite le intercettazioni telefoniche delle conversazioni tra i dirigenti dell’azienda e i giornalisti di organi di informazione locale, che si facevano dettare il contenuto degli articoli. Esistono prove certe di questo. A livello nazionale, invece, negli ultimi anni se ne è parlato moltissimo. Anche noi comitati e organizzazioni varie raggiungiamo tutti i giornali italiani con la nostra informazione e le nostre denunce. 

I lavoratori dell’azienda sono coscienti dei pericoli nei quali possono incorrere per la loro salute? 

Gran parte della questione ruota attorno alla fabbrica e la sua relazione con la realtà sociale ed economica della zona. Il ricatto salute-lavoro, quello è il nodo di tutto: le persone mettono in secondo piano il proprio diritto alla salute per il timore di perdere il lavoro. Nonostante la lotta di comitati e organizzazioni locali, non è semplice, quando avviene un ricatto del genere sui cittadini e la pressione sociale ed economica è così forte. Inoltre, con il passare del tempo, il problema viene normalizzato, non viene più percepito come tale. Ultimamente ci sono state un paio di fughe di gas, che ho denunciato, però parla oggi, parla domani, le fughe di gas alla fine le si da quasi per scontate.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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