Gli oranghi selvatici sono capaci di emettere suoni con una elevata complessità stratificata che si pensava fosse esclusiva della comunicazione umana, il che avrebbe serie implicazioni riguardanti la storia evolutiva della nostra specie e di quelle più simili a noi: è quanto emerge da un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Università di Warwick, a Coventry, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Annals of The New York Academy of Sciences. Analizzando registrazioni riguardanti i suoni degli oranghi femmina selvatici e studiandoli per mesi, i ricercatori hanno scoperto livelli annidati di comunicazione, con strutture ritmiche organizzate in moduli sempre più ampi. Inoltre, si tratterebbe di composizioni di suoni che variano anche a seconda del predatore, in quanto i richiami diventano più rapidi e urgenti davanti a una minaccia reale come una tigre, mentre rallentano se il pericolo percepito è ambiguo. «Trovare questa caratteristica nella comunicazione degli oranghi mette in discussione l’idea che la ricorsività sia prettamente umana», commenta la Dott.ssa Chiara De Gregorio, assegnista di ricerca presso l’Università di Warwick e coautrice.
Per ricorsività si intende un meccanismo linguistico che consente di inserire elementi all’interno di altri simili, come in una serie di matrioske, permettendo la costruzione di messaggi potenzialmente infiniti a partire da un numero limitato di unità. È ritenuta una delle caratteristiche fondamentali del linguaggio umano, in quanto ci permette di articolare pensieri complessi e articolati. Fino ad oggi, infatti, si riteneva che questa capacità fosse unica della nostra specie, anche se il nuovo studio appena pubblicato potrebbe indicare il contrario, ovvero che forme di ricorsività potrebbero essere emerse molto prima, e in altre specie. Per verificare questa ipotesi, i ricercatori hanno analizzato registrazioni dei richiami d’allarme delle femmine di orango in libertà, isolando le loro strutture ritmiche e studiando come i suoni si organizzano in sequenze sempre più articolate. Il risultato è stata l’identificazione di una complessità su tre livelli integrati, paragonabile a una vera e propria sintassi sonora.
In particolare, i richiami degli oranghi si compongono inizialmente di suoni singoli che si aggregano in piccole combinazioni (primo strato). Queste combinazioni, a loro volta, si uniscono in gruppi più ampi (secondo strato), che infine si integrano in serie ancora più lunghe e strutturate (terzo strato). A ogni livello, il ritmo dei suoni resta regolare, come in un brano musicale con schemi ripetuti, anche se non si tratta però di una struttura fissa: gli oranghi modificano il ritmo dei richiami in base alla minaccia percepita, segnalando consapevolmente il grado di pericolo. «Trovare questa caratteristica nella comunicazione degli oranghi mette in discussione l’idea che la ricorsività sia prettamente umana. Questa scoperta dimostra che le radici di una delle caratteristiche più distintive del linguaggio umano – la ricorsività – erano già presenti nel nostro passato evolutivo. Gli oranghi ci stanno aiutando a capire come i semi della struttura del linguaggio potrebbero aver iniziato a crescere milioni di anni fa», commenta De Gregorio, aggiungendo che i forniscono il primo riscontro empirico a favore dell’ipotesi secondo cui la ricorsività potrebbe essere stata selezionata e sviluppata gradualmente in un antenato comune, rendendo gli oranghi una finestra vivente su una fase antichissima dell’evoluzione del linguaggio.