Il rischio zero all’interno di un parco industriale, com’è noto, non esiste. Esistono però buone pratiche, protocolli e normative pensati per prevenire gli incidenti o, almeno, per contenerne gli effetti in caso si verifichino. Questo vale per la sicurezza interna agli impianti, ma c’è un altro aspetto da considerare: la sicurezza dei cittadini. Un tema particolarmente rilevante a Rosignano Solvay, dove il tessuto urbano si è sviluppato quasi interamente attorno alla fabbrica, come conseguenza diretta della sua storia urbanistica. Se la sicurezza dei lavoratori ricade sotto la responsabilità della dirigenza del parco industriale, quella dei cittadini è un compito condiviso: coinvolge sì la stessa dirigenza, ma soprattutto l’amministrazione comunale e la prefettura, cioè gli organi pubblici chiamati a garantire la tutela della popolazione.
Il 28 agosto 2024, alle 13:15 circa, un’esplosione ha interessato una tubatura sotterranea di azoto liquido, secondo alcuni lavoratori — intervistati da L’Indipendente — a causa della mancata chiusura di una valvola che ha portato alla rottura del collettore di distribuzione dell’azoto. Fortunatamente, non ci sono stati feriti. L’esplosione ha provocato una voragine nel manto stradale e causato danni a un furgone e a un’auto parcheggiati nelle immediate vicinanze. «Questo incidente è solo l’ultimo di una serie di eventi pericolosi che mettono in luce la precaria sicurezza degli impianti», aveva denunciato in una nota il gruppo Resistenza Popolare su Facebook. L’incidente è avvenuto durante il periodo della cosiddetta “fermata”, ovvero la fase dell’anno in cui gli impianti vengono arrestati per consentire gli interventi di manutenzione. In questa fase, il carico di lavoro per gli operai aumenta sensibilmente, mentre le imprese appaltatrici principali forniscono personale aggiuntivo alle ditte che operano all’interno del parco industriale.
“Fermata” e fughe di cloro-metano

Come ci è stato raccontato da fonti interne alla fabbrica — che hanno chiesto di restare anonime — chi lavora per le due multinazionali o per le ditte interne, spesso organizzate in forma di cooperativa, deve essere obbligatoriamente formato per accedere agli impianti industriali, seguendo protocolli di sicurezza specifici. Anche durante il periodo della cosiddetta ‘’fermata’’, quando vengono assunti lavoratori a tempo determinato per far fronte all’aumento del carico di lavoro, è previsto per legge l’obbligo di corsi di formazione sulla sicurezza. Tuttavia questa preparazione risulterebbe spesso insufficiente. «Voglio tornare a casa da mia figlia» è quanto ebbe a dire una delle nostre fonti a un giovane dipendente assunto temporaneamente durante la fermata, sorpreso con il cellulare in tasca su un impianto classificato a rischio. In contesti simili, infatti, le componenti elettroniche possono provocare l’innesco di un’esplosione in caso di fuga di gas. Per questo motivo, l’uso dei telefoni cellulari è vietato in alcune aree ad alto rischio. A tutto ciò si aggiungono precise norme di sicurezza anche per quanto riguarda l’abbigliamento da utilizzare all’interno dello stabilimento.
La mattina del 31 ottobre 2024 si è verificata una fuga di cloro-metano dagli impianti Ineos. Il cloro-metano, a temperatura ambiente, si presenta in forma gassosa; sotto pressione diventa un gas liquefatto. È quasi incolore, ha un odore leggermente etereo e pungente, ed è altamente infiammabile, capace di formare miscele esplosive in presenza di aria, oltre a risultare irritante e corrosivo per le vie respiratorie. In passato veniva impiegato come gas refrigerante, ma a causa della sua tossicità il suo utilizzo è stato progressivamente abbandonato ed è oggi escluso dai prodotti di largo consumo.
Secondo quanto riferito da nostre fonti interne allo stabilimento, la fuoriuscita sarebbe stata causata dalla rottura di una guarnizione tra due accoppiamenti flangiati. Dopo l’incidente, sono scattati i protocolli di emergenza, ma solo nella parte del parco industriale gestita da Ineos. Mentre gli operai di quest’ultima abbandonavano gli impianti per raggiungere i punti di raccolta, le entrate e le uscite venivano bloccate e veniva effettuato l’appello dei lavoratori, nella parte di stabilimento dove opera Solvay, invece, le attività proseguivano regolarmente.
Le fonti ci hanno riferito che alcuni operai Solvay, insieme a quelli delle ditte interne, sono stati fermati dai lavoratori Ineos e fatti entrare nei punti di raccolta mentre attraversavano i settori in cui erano in corso le procedure di evacuazione. Un gesto che evidenzia come, tra gli operai Ineos, vi fosse una chiara percezione del rischio, tale da spingere ad allertare anche i colleghi delle aree adiacenti. Un atteggiamento di prudenza che contrasta con la scelta di Solvay di mantenere le attività regolarmente in corso.
Abbiamo chiesto a Solvay come mai, in presenza di una fuga di gas — che per sua natura si propaga con l’azione del vento — non fosse stato attivato alcun protocollo di emergenza. La risposta — pervenutaci via mail da parte della Responsabile Media e Reputazione della multinazionale, Laetitia Van Minnenbruggen — è stata la seguente: «L’azienda ha attuato misure di sicurezza preventive per i suoi dipendenti». Alla richiesta di chiarire cosa si intendesse con «misure preventive» — definizione che solitamente si riferisce a ciò che precede un evento, non che lo segue — ci è stato risposto: «La sicurezza dei nostri dipendenti è la nostra massima priorità. Per garantire la loro sicurezza, Solvay li ha informati e ricordato le misure di sicurezza, ha monitorato costantemente la qualità dell’aria e ha seguito le procedure interne. Poiché l’incidente si è verificato lontano dall’area di Solvay, i sensori non hanno rilevato anomalie e non è stato necessario alcun ulteriore intervento». Alla domanda su come sia stata gestita l’emergenza nei confronti della cittadinanza, invece, non è arrivata alcuna risposta. Del resto, se per Solvay era tutto sotto controllo all’interno dello stabilimento, è difficile immaginare che ci sia stata attenzione a ciò che accadeva fuori.
Domande senza risposta

La mattina del 31 ottobre, alcuni cittadini che vivono o lavorano nelle immediate vicinanze della fabbrica — in un’area in cui si trovano anche il distretto sanitario, lo stadio, il teatro, il circolo ricreativo e, soprattutto, le scuole elementari e medie — hanno sentito una voce provenire dagli altoparlanti dello stabilimento e avvertito un forte odore nell’aria. La cittadinanza, però, è rimasta all’oscuro di quanto stava accadendo. L’unica comunicazione ufficiale è arrivata solo diverse ore dopo, tramite un post pubblicato sulla pagina Facebook dell’amministrazione comunale. Non esattamente una prassi e un metodo di comunicazione ideale e tempestivo in un episodio del genere.
L’azienda ha avvertito il Comune dell’accaduto «non rapidissimamente», ha confermato a L’Indipendente il sindaco Claudio Marabotti. Il messaggio rilasciato sui social media dall’amministrazione riportava: «Siamo stati informati che questa mattina è avvenuta la fuoriuscita di gas (composto intermedio della lavorazione dei clorometani) da una tubazione situata in un impianto Ineos. Sono state attivate le procedure di sicurezza, sono stati evacuati i lavoratori ed è stato isolato il tratto di tubazione interessato dalla perdita. I dirigenti Ineos informano che non ci sono stati danni al personale e che non esiste rischio per i cittadini. Per precauzione sono stati interrotti gli ingressi dall’esterno all’interno del parco industriale».
Ma se non vi era alcun rischio per la popolazione, tanto da non attivare nemmeno la sirena di allarme, perché avvisare il sindaco ad alcune ore di distanza? E ancora: trattandosi di una fuga di gas, che per natura si diffonde con il vento, chi decide se esiste o meno un rischio per la cittadinanza? L’azienda non dovrebbe limitarsi a riportare con la massima tempestività l’accaduto e lasciar decidere alle autorità cittadine e sanitarie se vi sono o non vi sono rischi per la cittadinanza? Anche su questi punti da Solvay non è arrivata alcuna risposta alle nostre domande.
Il piano di emergenza fermo al 2015
A rendere la vicenda ancora più preoccupante è un dettaglio non secondario: il piano di emergenza cittadino è fermo al 2015, mentre i programmi di esercitazione per la popolazione risultano sospesi da ancora prima. A spiegarlo sono stati il sindaco Claudio Marabotti e l’assessore Giacomo Cantini. La redazione di questo piano dovrebbe avvenire congiuntamente tra le istituzioni pubbliche — in particolare l’amministrazione comunale e la prefettura — e la dirigenza dello stabilimento. Il sindaco, per legge, è considerato il massimo responsabile della salute e della sicurezza della cittadinanza, prerogativa condivisa con la prefettura.
La nuova giunta comunale guidata da Marabotti, in carica dal 2024 dopo decenni di amministrazioni a guida Partito Democratico, è frutto dell’alleanza tra le liste civiche Rosignano nel Cuore e Io Voto Io Vinco con il Movimento 5 Stelle. Secondo quanto riferito da Cantini, una delle prime azioni della nuova amministrazione è stata proprio quella di chiedere alla prefettura l’attivazione di un tavolo di lavoro per l’aggiornamento del piano di emergenza. L’assessore ha inoltre evidenziato come sia necessario che la cittadinanza venga adeguatamente istruita su come comportarsi in caso di incidente, in base alla tipologia del rischio. Ma da almeno un decennio nulla di tutto questo viene fatto. Una situazione particolarmente allarmante per una città che è cresciuta e vive a ridosso di uno dei più grandi poli chimici del Paese.