martedì 20 Maggio 2025

Il Mali sta bloccando le esportazioni di litio alle multinazionali estere

In un nuovo slancio anticoloniale, il Mali sta bloccando l’export di litio, aumentando i controlli affinchè le aziende straniere che estraggono minerali e metalli preziosi paghino di più per appropriarsi delle risorse del Paese. Questa volta a farne le spese è la britannica Kodal Minerals, la quale vede bloccate migliaia di tonnellate di litio ferme nel Paese africano, senza possibilità di esportarle, in quanto il governo maliano non avrebbe infatti concesso l’approvazione finale all’export del materiale.

Secondo quanto riferito a Reuters dal’amministratore delegato dell’azienda, Bernard Aylward, sarebbero circa 20.000 le tonnellate di litio estratte dalla sua compagnia mineraria e ferme in Mali a causa di ostacoli normativi. Aylward ha detto che i funzionari maliani stanno prendendo in considerazione un meccanismo di determinazione dei prezzi per garantire che le proprie risorse (non solo il litio estratto da Kodal) siano vendute ai tassi di mercato prevalenti. La società è bloccata nei negoziati, che vanno avanti dallo scorso anno, per l’approvazione finale all’export. Kodal ha un accordo per vendere tutta la sua produzione alla cinese Hainan Mining. La miniera di Bougouni, sfruttata dalla compagnia Kodal Minerals, situata a 170 km a sud di Bamako, mira a una produzione mensile di 11.000 tonnellate di litio, posizionandosi come il secondo progetto operativo di questa materia prima del Mali, dopo la miniera Goulamina gestita dalla cinese Ganfeng Lithium. «Anche altre operazioni in Mali stanno avendo ritardi nei permessi di esportazione. Non è limitato al team Kodal», ha detto Aylward a Reuters. Infatti, molte sono le compagnie che hanno dovuto sborsare molto più denaro per poter continuare ad estrarre o per poter esportare le materie fuori dal Mali.

Lo scorso anno, la compagnia mineraria australiana Resolute Mining ha pagato 160 milioni di dollari al governo del Mali per risolvere una disputa fiscale, dopo che il suo amministratore delegato, Terence Holohan, insieme a due dipendenti della compagnia, era stato arrestato dalle autorità maliane. Nel gennaio di quest’anno, invece, l’azienda di estrazione mineraria Barrick Gold, la seconda più importante al mondo, ha dovuto interrompere le operazioni di estrazione dell’oro dal complesso minerario di Loulo-Gounkoto, dopo che il governo ha sequestrato provvisoriamente le scorte estratte dal sito e le ha messe sotto custodia in una banca locale. Il governo aveva preso tale decisione poiché riteneva che l’azienda non stesse rispettando i termini di un contratto che prevedeva una redistribuzione più equa delle ricchezze estratte dalla cava per tutte le parti in gioco, Stato compreso. Nel febbraio scorso, il Mali aveva sostanzialmente obbligato la francese Total ha cedere le proprie attività a Coly Energy Mali, filiale locale della società beninese Benin Petro. La mossa era stata salutata dalla giunta militare al potere nel Paese come un ulteriore atto liberazione dalla presenza francese.

Il Mali dimostra ancora una volta come non abbia nessuna intenzione di retrocedere nel suo percorso di decolonizzazione dai Paesi e dalle compagnie occidentali, proprio come stanno facendo suoi due alleati nella fascia subsahariana, ovvero Burkina Faso e Niger.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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